domenica 30 dicembre 2012

u mericu piatusu


Il medico pietoso





Di te amore m'attrista,
mia terra, se oscuri profumi
perde la sera d'aranci,
 e d'oleandri, sereno
cammina con rose il torrente
 che quasi n'è tocca la foce.
Ma se torno a tue rive
e dolce voce al canto
 chiama da strada timorosa
 non so se infanzia o amore,
 ansia d'altri cieli mi volge,
 e mi nascondo nelle perdute cose.
 Salvatore Quasimodo
Modica 1901 - Napoli 1968
Premio Nobel 1959



La lettura dei giornali, o meglio di alcuni giornali, siciliani, soprattutto sotto l'imperversare (ed è, purtroppo, cronaca pressoché quotidiana) della procella criminale, offre spunti per alcune riflessioni.
Anzitutto colpisce la ritmica degli accenti spazianti dallo sdegnoso al patetico, dal tempestoso al curialesco, dal mo­nitorio al riflessivo, dal sociologico al profetico, forse per dare maggiore l'orza all'enfasi di considerazioni che normal­mente (partendo dallo stato di prostrazione di tutta una so­cietà vittima di non meglio identificati prevaricatori, pas­sando per dotti excursus storico-sociologico-politici, non trascurando la comprensione della corruzione e degli intri­ghi politico-affaristici determinati da uno stato di necessità), convergono quasi sempre su due assiomi di base:
1) i giornali del Nord «ci bagnano il pane», non distinguen­do il grano dal loglio (è vero, ma per bagnare il pane ci vuole il vino; e, quanto alla sarchiatura, deve forse provvedere il contadino della Bassa Padana?');
2) esiste si un «caso Sicilia», ma determinato dallo Stato che, non solo non ha messo un freno al malcostume e alla disonestà politica, ma e stato complice nel coprire e nel pro­teggere.
Non abbiamo difficoltà a concordare sulle colpe dello Sta­to, ma noi Siciliani che facciamo?
E qui torna acconcia la citazione di quel Sindaco di Trapani che, qualche anno fa, in occasione di un efferato crimine consumato sulle strade della sua città, se ne usciva coll'affermare che a Trapani la mafia non era mai esistita e che, se c'era qualche mafioso in zona, questi era di... Borgo An­nunziata (un rione cittadino, a meno di due chilometri dal palazzo municipale: n.d.r.).
Quindi malcostume e disonestà «politica» (ma quali mafia, ppi carità!). Ma chi sono questi disonesti? sono di... Borgo Annunziata? da chi é rappresentato lo Stato? chi sono gli al­tri complici dello Staio nel coprire e nel proteggere? Nell'Isola del sole è difficile trovare dei dissenzienti, in tutto o in parte, dalla linea della chiusura a riccio, dell'arrocca­mento esorcizzatore dettato dall'orgoglio ferito, anche se non manca qualche esempio di quell'altro indirizzo, quello «chirurgico», impietoso ma certamente non disamorato (u mericu piatusu fa 'a chiaia vilinusa), che oppone alla vacui­tà dell'orgoglio la forza, la dignità, la rispettabilità dell'umiltà (e cioè, recitano i dizionari: «coscienza della propria debolezza, insufficienza e simili, che inducono l'uo­mo a farsi piccolo volontariamente, reprimendo nel suo inti­mo ogni molo di alterigia»), che richiede si coraggio, ma che è l'unico sentiero praticabile per risalire la china.
Parlando di mafia, di corruzione, di rapporti mafia-politica e lordure simili, possiamo anche sbagliare, noi comuni mor­tali, diagnosi e terapia (guai ad avere in tasca, bell'e pronte spiegazioni e soluzioni uniche, irrevocabili!). Un fatto però è certo: bisogna parlarne, bisogna guardarsi attorno, scava­re nel marciume, bisogna interrogare sé stessi, esser chiari e onesti; non ci si può trincerare, di volta in volta secondo i casi, facendo il gioco delle «forze del male», dietro la pervi­cace ridicola negazione della realtà, o dietro il vittimismo, o dietro la cortina fumogena della retorica, o dietro il silenzio, le ritorsioni o le diversioni (la mafia è dappertutto), o die­tro l'attesa formale, senza fine, dell'accertamento, delle «prove», di verità che dentro di noi ben conosciamo o co­munque percepiamo e fiutiamo.
Non si può recriminare e invocare provvedimenti e interven­ti per arrestare il dilagare della disonestà e del malcostume («quali mafia, ppi carita!») e, contemporaneamente, di­squisire distinguere sottilizzare minimizzare ironizzare e li­quidare, con sufficienza e saccenza, come artificioso polve­rone e fumus protagonistico, ad esempio, qualsiasi azione della magistratura che vada in senso contrario al coprire e proteggere, prima rimproverati allo Stato; o, per contro, osannare a chi. capziosamente, pretenda di mettere il bava­glio alla stampa che osi uscire dalla comoda gesuitica gattopardesca rituale genericità del moralismo di facciata. Bisogna porsi ogni possibile interrogativo, compreso so­prattutto quello riguardante il ruolo e le responsabilità della collettività (la Sicilia «ufficiale») e dei singoli siciliani (si può essere «conniventi», oltre che per calcolo e per cointe­ressenza, per rassegnazione, per acquiescenza, per abulia, per egoismo, per quieto vivere), e indagare, analizzare, ra­gionare prima di emettere verdetti, assolutori o di condan­na, prefabbricati.
Abbiamo il diritto di pretendere che la stampa, le forze di opinione, i movimenti politici non «inquinati», le persone «per bene», senza abbandonarsi a piagnistei o levare alti lai, pongano a sé stessi le domande e. soprattutto, non eludano le risposte, per spiacevoli che possano essere.

giovedì 27 dicembre 2012

scippa e...chianta!








Spulciando qua e là fra varie fonti di cultura popolare siciliana, capita d’imbattersi in proverbi, aneddoti e detti dai quali traspare in tutta evidenza un atteggiamento che, fatta salva l'osservanza religiosa (fai chiddu ohi dicu e no chiddu ohi fazzu) denota diffusa radicata diffi­denza e risentimento nel confronti del prete come persona (“u corvu"). Sentimento e atteggiamento che, per essere cosi ricorrenti, dobbiamo rite­nere frutto di ripetute esperienze negative, di disinganni, di mistificazioni, di latinorum truffaldino, di soprusi, d’invadenza, di untuose…penetrazioni, di doppiezza, di rapacità, di voracità, di gesuitismo, subiti come suol dirsi sulla propria pelle nel corso di secoli.
E che tutto ciò non sia solo "letteratura", trova riscontro nel ricordi dell’infanzia e dell’adolescenza (lasciamo stare il presente per non andare fuori tema), quando dalle nostre parti, nei discorsi dei vecchi, il soggetto “prete” ne usciva piuttosto malconcio, lasciando qualche inespressa perplessità, appena abbozzata, in ragazzi della mia età, ai quali sembrava di cogliere una buona dose d’incoerenza fra tale atteggiamento "blasfemo” e il formale ossequio tributato al prete pubblicamente, per non parlare poi dell’intenso grado di partecipazione religiosa manifestata dalle stesse persone, quotidianamente e nelle feste comandate, come si conveniva a gente timorata di Dio.
Una religiosità, per inciso, con forti venature paganeggianti (diavoli, streghespiriti del male, pregiudizi, superstizioni jettaturi, malocchio, fantasmi, sogni, gastimi, formule magiche, idoli, corni, santini e amuleti vari), beninteso sempre filtrate e condite da paternoster, gloriapatri e avemarie, mentalità e pratiche mai combattute, anzi spesso incoraggiate dai dotti pastori di anime del tempo.
Gli anni e la maturità mi avrebbero poi dato ampia spiegazione di quella apparente contraddizione, una spiegazione rispondente al concetto di "laicità” che, appunto, tiene distinta la sfera della fede da quella del "potere” ecclesiastico e che i nostri vecchi, ignari certo dello sue origini storiche e delle sue implicazioni ideologiche, sentivano istintivamente -e rigorosamente seguivano- codificandolo in sentenze e modelli di comportamento. 
A titolo di curiosità e, perché no, anche di riscontro con le opinioni e le esperienze di  tempi più recenti, qui di seguito ne riportiamo alcuni esempi:




Quanno monici ‘ncontrl a largu passa

Di li parrini sèntiti la missa

Faciti beni a porci e limosina a parrini

Non fari vigna allatu li vadduni, 
non fari casa allatu li parrini:
li vadduni su’comu li scursuni(serpi)
e li parrini mettinu ruini.

Parrini corvi e monaci vuturi(avvoltoi
su’ boni pi la missa e cunfissari.

...pirchì non è cuntentu lu parrinu 
si lu calici ‘un s'inchi chinu chimi. 

Quannu la schittulidda si cunfessa,
lu cunfissuri acoumenza a spiari:
- Figghia ti c'hai affacciatu a la finestra, 
quant’omini hai fattu pazziari?-
- E vui, patruzzu. vi vegna na pesta, 
ca quanti cosi m’aviti a spiari:
ca si m'acchiana lu pulicl ‘ntesta, 
patri di missa vi fazzu livari.

Ammuccia lu latinu ‘gnuranza di parrinu

'Ntempu di disgrazii, parrini beddi sazii

Cavaleri, parrinu e malu passu, 
dinni beni e stanni arrassu.

Cu monaci e surdati nun cogghiri amistati(amicizia)

Cui sempri viri a prucissioni  e a missi
lignu  nun è di fari crucifissi

Cui spera nna lu monacu, 
spera  ricogghiri lu ventu ‘ntra li riti

Frati, ciumi e parrini 
su’tri mali vicini


Gula di monacu e pitittu di parrinu.

Lu monacu sciala e lu cummentu paga

Nun aviri cunti cu monaci e parrini

Nun cè festa   fistino, 
ch'un c’è un monacu o un parrinu.  








Unn'e monaci e parrini, cci su’ corna e vastunati.

Cci su' chiddi chi l'hannu per onuri
falli nta la so' casa pratticari:
pri mia (vu' pirdunatimi, Signuri),
su’ cosa d'unnaviricci chi fari:
sapiti pirchì vennu 'sti 'mpusturi?
o vennu pri scippari,o pri…chiantari.

E’ ovvio che, da allora, nel frattempo le cose sono molto cambiate.
Oppure no?
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lunedì 24 dicembre 2012

...Scammaccando Odisseo



Samuel Butler
Premettendo che non era mia intenzione inoltrarmi nell'avventuroso terreno delle "recensioni", nella precedente nota ("l'Odissea siciliana") mi sono soffermato sulla teoria " rivoluzionaria" di un inglese, Samuel Butler ( esposta nell'Autrice dell'Odis­sea" ), ripresa e sviluppata poi da un professore neozelandese, L. G.Pocock con "L'origine siciliana dell 'Odissea", tradotta da Nina e Nat Scammacca, secondo la quale:
L. G. Pocock
-la maggior parte dei luoghi descritti nell'Odissea corrispondono a Trapani e dintorni ;
-l'autore dell'Odissea doveva conoscere profondamente quei posti ed essere quindi trapanese (una   donna trapanese: Nautica?) .
La nota si concludeva con un rapido cenno alla ricomposizione sistematica della tesi  "siciliana" mirabilmente operata da Vincenzo Barrabini, studioso di casa nostra, passato dall'incredulità iniziale all'interesse e infine allo studio amorevole di una materia così affascinante, capace di suscitare sopite energie e di lievitare fermenti ben al di là della sfera strettamente storico-letteraria.
La stessa curva di sentimenti che mi hanno spinto ad occuparmi della questione, nei...fumi della solenne ubriacatura procuratami dalla febbrile lettura di testi in cui l'illustrazione di luoghi così familiari finiva per ]  immedesimarmi nella vicenda, quasi da protagonista.
E ad un ubriaco cosa vai a chiedere se l'intuizione di Butler, gli assiomi di Pocock o la ricostruzione di Barrabini possano avere o non "validità scientifica”!?
A questo punto, non è tanto la tesi di per se, pur sostenuta con convinci­mento e credibilità, con fede, con gioia quasi infantile,  che più c'interessa, quanto l'aver trovato una leva, un appiglio, uno scoglio cui aggrapparci per non farci sommergere dall'onda dell'abulia e della rassegnazione di oggi, per librarci sulle ali della fantasia che conduce alla realtà, per cantare col nostro professore neozelandese 1’antica gloria, leggenda e mito, per farne il vessillo della riscossa, della rinascita, del riscatto. 
Cosa conosciamo di queste nostro lontane radici?! mi chiedevo, mentre nella mia estemporanea lettura estiva potevo, grazie  alla guida del Pocock, "rivisitare" in simultanea orizzonti e luoghi della giovinezza, allora appena sfiorati da sguardi disattenti quotidiani ignari, ed ora improvvisa­mente divenuti teatro di una vicenda umana, quella di Ulisse-Odisseo, vissuta e narrata migliaia di anni fa, che si rinnova sempre uguale di gene­razione in generazione, perchè in essa puoi ritrovare la cronaca della vita errabonda  dell'uomo di tutti i secoli, e quindi anche della nostra.
E niente o quasi niente abbiamo continuato a conoscere. 
Il nostro Pocock (ma non dimentichiamo Butler e Barrabini!) mette ora a nudo radici sepolte nella stratificazione dei secoli e si affanna a dimo­strarci che sono le nostre: per i Trapanesi di oggi, ormai rassegnati a sentire additata la loro città come la capitale della mafia, ci "sarebbe" ben di che meditare, oltre e più che inorgoglirsi.
Se potessimo contare su una classe politico-dirigente meno impreparata, meno inconcludente, meno impegnata nei giochetti e negli ammiccamenti personali e partitici,meno indaffarata in "affari" più o meno puliti, più sensibile al richiamo ed al fascino dei filoni più genuini della "cultura delle radici”; se i vari sodalizi cittadini che si  sono appiccicati addosso l'eti­chetta e le finalità della cultura al servizio della comunità, non esauris­sero la loro funzione nelle periodiche frivole adunate conviviali, riservate a consociati (e relativo signore) vanesi e boriosi quanto insulsi, gretti e torpidi; se la comunità cittadina, giovani e meno giovani insieme, non fosse ormai incapace di rendersi conto dello stato di degrado in cui è precipitata e di trovare quindi in se il guizzo d'orgoglio necessario per porre mano alla ritessitura di un tessuto ridotto a brandelli; se tutto ciò non fosse un'avvilente realtà, allora sì, si potrebbe sperare che non è stato sprecato l'atto d'amore, la fatica di un esploratore di un lontano continente, venuto fra noi ad inerpicarsi ansante sullo scosceso pendio .di San Cusumano e Pizzolungo alla ricerca di rare pietruzze colorate, frammenti coi quali ricomporre il suo caleidoscopico mosaico del tempo e del mito, alla cui "realtà" poterci aggrappare come naufraghi allo scoglio.
E’ vero, qualche altro benemerito studioso "locale" ha ripreso la teoria di Butler e di Pocock ma non si va oltre l'enunciazione culturale d'elite. 
Manca l'azione, fondamentale, di divulgazione fra i giovani nelle scuole (quanto infinitamente più fruttuosa, in   termini di maturazione civile e culturale, e oltretutto meno dispendiosa, un’escursione -testi alla mano- a San Cusumano, a Pizzolungo, ad Erice, a Castellammare, allo Stagnone, alle Egadi, prima che le ruspe ed il cemento inghiottano tutto nell'ondata  travolgente dell'abusivismo materiale e culturale); mancano approfondimenti e dibattiti a livello "popolare"; non si è colto (e chi se ne occupa!?) lo spunto per un "lancio publicitario" del mito omerico "siciliano" (come del resto di quello virgiliano), presentatoci su un piatto d'argento, un lancio che andasse oltre la toponomastica o gli occasionali richiami delle insegne di ristoranti e fast food o le velleitarie progettazioni di parchi da parte di chi non riesce nemmeno a conferire un aspetto (un look, per dirla col linguaggio di oggi) meno squallido alla stele di Anchise, che ne dovrebbe costituire il nucleo centrale; è mancato uno spruzzo di fantasia, un patto d'impegno civile, una sferzata di orgogliosa dignità, per rifondare una comunità che, dalle scoperte radici del mito-reaìtà,  potesse trarre la linfa per rinverdire il mito di Scheria (Trapani!) "cinta di mura".
Ma, nonostante tutto, Nat Scammacca, e noi con lui, imperterrito invita gli  escursionisti della città ad una scarpinata in montagna (coraggio, bastano buone gambe, scarpe adatte e svegliarsi di buon mattino!), per inerpicarci su quel pendio a rimirare l'azzurro cupo del mare da Cofano alle Egadi, a respirare a pieni polmoni l'aura del Fonte, a ritrovare nascosti sentieri, mentre lui, ansante ma felice, ci declamerà:

"Noi scordati fondatori di Drepanon, noi arrampicatori della
montagna ,noi scalatori della cima ancor prima che gli Elimi
dichiarassero i nostri occhi incantati dal fascino di Venere
 ...il nostro popolo sorgerà dalie ceneri....
 e la nostra volontà antica darà nuova volontà di stare dove
sta la collina,dove la nostra casa sta,dove echi passati
urlano nella notte verdeolivo di vere epiche odisseane,
sempre vivificando questa isola   "

Ecco, parliamo dà Nat Scammacca divenuto, dopo la "scoperta" di Butler e Pocock, il corifeo del racconto siciliano dell'Odissea, che viviseziona a sua volta sposandolo alle ricerche storiche (siciliane, ovviamente!) di cui fra l'altro...si diletta, che fa suo per divulgarlo ed arricchirlo con gli accenti e lo zelo del neofita.
Perchè ?
Ma perchè la storia narrata da Pocock è il racconto stesso delia sua vita, sul quale è "inciampato andando alla ricerca delle mie origini isolane e perciò delia mia identità "siciliana"; un’aspirazione di trovare una "casa" dopo avvenimenti vari e piste false."
Ancor prima di leggere la prefazione alla sua raccolta di poesie (solo alcune delle sue tante, quelle
in qualche modo aventi attinenza con l'Odissea siciliana, SCHAMMACCHANAT, significativanente pubblicata nella stessa veste editoriale e contemporaneamente alla traduzione dell'opera di Pocock, negli appunti che avevo buttato giù per la stesura di questa nota avevo segnato: “Nat = Odisseo”..
E l’accostamento non era arbitrario se lui stesso così ne conclude la presen­tazione : "Se ancor oggi fra i molti popoli ci sono giramondi e viandanti che possono reincarnare lo  spirito dell'antico Odisseo, alla ricerca della sua Isola-Casa attraverso mari e terre,credo che uno di essi potrei essere proprio io."
Nessuno può contestarglielo: basta scorrere la sua biografia, aver seguito la sua vasta e vivacissima produzione letterariail suo impegno "politico", basta intrattenersi con lui, guardarlo direi nel suo aspetto fisico, sentirlo declamare quasi in  trance i suoi versi infiammati di fiamme blu! 
A ben guardare, è vero: ciascuno di noidentro e fuori Scheria-Itaca, ha lasciato senza sapere quando e come  la sua isolaattratto da fallaci miraggi, ed  erra  per il mondo alla ricerca di un inafferrabile domani. 
Ma quanti avranno il lampo rivelatore? quanti avranno ancora l'energia necessaria per drizzare verso Itaca le vele  del  ritorno, su un guscio di noce sballottato dall'ira di Poseidone, insidiato dalle lusinghe della ninfa Calipso o della maga Circe, osteggiato da11' immane Polifemo?  quanti alfine approderanno? quanti oseranno combattervi i "Proci? quanti non preferiranno unirsi a loro per saccheggiare e gozzovigliare nella casa avita di Itaca?
Nat Scammacca ha avuto coscienza di questo errabondo peregrinare, è riuscito ad approdare alla sua Scheria-Itaca  ("dove il sale bianco picchia a ritmi, uno dopo l’altrotamburi che rimbombano da mare a mare"), vi va ritrovando le sue radici dirompendo le zolle petrose del tempo, non si è associato ai Proci, ma li combatte fieramente cantando in versi (l'establishment, i fascisti, la mafia, i  baroni della cultura rappresentati dal Lambruschini del rev. Canonico Fortunato Mondello).
Non è un visionarioun Don  Chisciotte, è Odisseo che dopo la guerra vitto­riosa (una sconfitta!) vuole tornare alla casa (Home) che non ricorda più quale e dove sia; un'amnesia dalla quale può uscire soltanto scavando in se ( "lottando per le radici dell'io") nel baluginare delle nebbie che avviluppano il suo  cammino ("questo lungo cammino non fu soltanto un sogno"), un cammino tormentato ("questi lunghissimi giorni d'erbacce e di cattiveria") lungo il quale trovare alfine ("per il tramite di molti giri"), richiamato dal "destino", una fonte ristoratrice, l'oasi della "sicilianità" ("Sicily for me to be free?), nella quale poter alfine dissetarsi ( "ho scelto le rose"), nella quale poter riconoscere, gioirne e soffrirne ad un tempo, il suo remoto albero genealogico ("il blu si fa profondo e io vedo la moneta “Schammachanat" ).
Un'oasi nella quale si attarda perchè ha da recuperare il tempo perduto (" Oh Cristo! oh Afrodite! quali divinità invocare affinchè tutto questo si rallenti per aver tempo di dimenticare e ricordare chi sono!"), deve "crescere indietro", scavare e scavare e "ritrovare i suoi avi su pietre di tombe annerite"; un’oasi di montagna (" come il Ciclope,l’Ibero Sicano,  io odio la piatta landa, mi attacco alle falde di questa Montagna come un lattante al seno della madre, alla Collina del Bisnonno").
Scava e scava, e la Montagna generosa gli dà alfine la "prova" che cerca: un'antica moneta che raffigura un leone in piedi davanti a una palma dattifera, con la legenda in lettere puniche traducibile (guarda caso: nome e cognome!) in SCHAMMACHANAT  =  Sicilia/Isola del Sole!
E' il segno del destino, la rivelazione delle radici: Odisseo ha ritrovato la sua Isola, può costruirvi la sua Casa, là alle falde del Mnte, dove ricevere Ciclopi, Elimi, Sicani, Fenici, Greci, Arabi, Egiziani, e Dei e Ninfe, intrattenersi con essi, con essi parlando il linguaggio dell'epos, e con essi ricomporre e ripercorrere i sentieri del mito, che è storia.
Il giramondo è giunto al termine del suo girovagare: ora il figlio del Sole è l'uomo del Monte, il guardiano del faro.
A sera, quando la luna avrà girato l'angolo di casa, sciabolerà un fascio di luce, luce blu in cui turbina pulviscolo di stelle, su  Erice,  e giù da Segesta sulla pianura ondulata dove sorge la fattoria di Falezio, e poi su Scheria, sul  Malconsiglio, su Asteride, su Same, su Zacinto su Hiera, sù e giù tutta la notte, finchè "il Sole cambierà l'est in oro".
Ci potete giurare: non parte più!

su questo stesso blog:
- l'Odissea siciliana
- l'Odissea riminata
- Lona e buccetta



sabato 22 dicembre 2012

l'odissea siciliana


Estate 1986 – Lido di San Giuliano - Trapani
Aprendomi un varco fra bagnanti di ambo i sessi beatamente conviventi con barattoli vuoti di Coca-cola e altro (bibite,cartacce e residuati vari, rigo­gliosi cespugli amorevolmente piantati e coltivati da infaticabili seminatori, elementi paesaggistici tutelati e conservati da provvidi e attenti gestori) pianto trionfalmente la mia   sediolina pieghevole su un'isoìetta di sabbia apparentemente  incolta, per offrirmi, dopo tanti mesi, spirito e corpo, ai raggi rigeneratori del sole di casa mia.
Ma ben presto, sollecitato anche dall'incalzante vigilanza della mia devota sposa (un'ora, come prima esposizione, è già troppo!), mi riparo sotto l'ombrellone ad evitare fastidiosi guai (precisiamo noie solari, e non guai coniugali come qualche distratto lettore potrebbe frettolosamente e  mali­gnamente dedurre dal contiguo accenno al servizio di ..vigilanza): è l'ora delle letture, ultimo rifugio balneare per le persone di una "certa" età, alle quali non è concesso - e questa volta i guai sarebbero di matrice domestica- di spaziare con lo sguardo sulle conturbanti grazie di femmine nubili e maritate, generosamente offerte, più che ai raggi del sole, a pecca­minosi blitz di occhi sitibondi e famelici.
Ecco, in borsa ho i due volumetti, con dedica, che Nina Scammacca, la Ninfa Egeria del leader dell’Antigruppo, ha voluto offrire all'amico degli anni verdi, che sa interessato alle cose di casa nostra.
Perchè di cose nostre si parla, cose di un ieri remoto che attinge al mito, cui riannodare, filo per filo, l'ordito dell'oggi e tessere in esso la trama del domani.
Il primo (col testo inglese e la   traduzione italiana: curata da Nina e Nat Scammacca ) s' intitola: The Sicilian origin of the ''Odyssey" di L.G.Pocock; l'altro: “Scammacchanat” , ovviamente di Nat Scammacca, ugualmente con testo bilingue.
Le mie scarse e sempre più evanescenti rimembranze scolastiche (e quel che è venuto dopo) non mi danno certo  titolo e ardire per inoltrarmi in un’analisi critica che possa configurare una “recensione” in senso tecnico dei lavoro di Pocock (di Scammacchanat parleremo a parte), uno stu­dioso neozelandese (!) che si è voluto occupare di cose di casa nostra. 
Quello che vorrei  tentare di esprimere sono invece e soltanto le sensazioni ricavate dalla lettura dei libri proprio in quel luogo (lo "scenario-osser­vatorio" di San Giuliano), nell’abbacinante dardeggiare del sole d'estate, seguita da una rilettura più attenta fra le pareti domestiche e completata con la febbrile consultazione di altri due lavori, fondamentali in materia, pescati alla Biblioteca Nazionale di Firenze ("L'autrice dell'Odissea" di Samuel Butler e "L'Odissea rivelata" di Vincenzo Barrabini).
La teoria di Pocock prende le mosse da Samuel Butler, un eclettico perso­naggio inglese del secolo scorso, filosofo, novellista, scienziato, musico e pittore che, nel 1897, pubblica "L'autrice dell'Odissea": un'affascinante sinopia di luoghi, tempo, origine del poema e personalità dell'autore, che "lancia" una teoria, basata più su un modulo intuitivo che su approfonditi riscontri e verifiche, ma non per questo meno meritoria, secondo la quale
- molti dei luoghi descritti nell'odissea corrispondono a Trapani e dintorni
- l'autore dell'Odissea doveva conoscere profondamente quei posti ed essere quindi trapanese(una donna trapanese:Nausica!).
La teoria, osteggiata col silenzio, e si può capire, dal mondo accademico internazionale interessato a "conservare" i suoi assiomi sulla questione omerica, incontrò addirittura 1'ostilità (e ti pareva!) della cultura trapanese di allora (rappresentata, se non ho capito male, dal Canonico Fortunato Mondello sul giornale locale "Il Lambruschini" ).
Passano alcuni decentri finché, incaricato di  una conferenza sulla rivoluzio­naria teoria di Samuel Butler, il professor Pocock ritiene indispensabile documentarsi prima sul posto e viene (siamo nel 1952) in Sicilia per racco­gliere, Odissea alla mano, prove geografiche e topografiche atte a convalidare l'intuizione di Butler.
(A  co:nfermare l'attenzione e la lungimiranza della cultura nostrana, basterà precisare che l'opera di Butler, che è del  1897, fu tradotta in italiano soltanto nel 1968, per iniziativa personale dell’ericino Professor Antonino Di Stefano risalente al 1957 sulla scia dei risultati dell'indagine di Pocock!)  
(Parentesi nella parentesi, è stata per me un'emozionante sorpresa apprendere che autore della traduzione è stato Giuseppe Barrabini, mio professore d'inglese negli  anni ginnasiali).
Forte di un'approfondita conoscenza di tutte le fonti storiche disponibili, poste a verifica e confronto critico, padrone del lessico e della filologia, diligente e acuto ricognitore delle isole e dei luoghi mediterranei teatro della vicenda omerica, ben "imbeccato" da Butler, Pocock sottopone il testo omerico a vivisezione -parola per parola e luogo per luogo-, in una serrata sequenza di perentorie argomentazioni logiche, inframmezzata di rapide "incursioni" di sapore psicologico nella mentalità, nei metodi e nella personalità del poeta, e in ogni reperto trova riscontri per affermare senza ombra di dubbio il  suo affascinante "credo" (la sua non è una "tesi", una enunciazione cioè che richieda di essere dimostrata, ma un assioma).
E così, Trapani, la  falce di Demetra, diventa Scheria "chiusa da mura", la terra dei  Feaci; a San Cusumano (Cosma e Damiano) è approdato Odisseo, sottratto alfine a.lle inesauribili brame dell'ardente Calipso; la zona circostante è il luogo dell’incontro con la  dolce Nausica; e lo scoglio del Malconsiglio, appena fuori Torre Ligny, non può che essere l’imbarcazione dei Feaci pietrificata da  Poseidone al ritorno dall'aver accompagnato Odisseo nella sua Itaca ("che pietra fece diventare e radicò nel fondo"); la presenza del Monte   Erice avvalora la minaccia di Poseidone di scaraventarlo a seppellire la città  posta ai suoi  piedi (minaccia fortunatamente rimasta... finora tale, ma che possiamo immaginare all'origine del millenario antagonismo fra Feaci e Ciclopi , fra Feaci ed Elimi, fra Trapanesi ed Ericini!); ancora nella montagna di Erice, sul versante di Pizzolungo si apre l'antro di Polifemo, che sfoga le. sua ira scagliando in mare su Odisseo in fuga giganteschi  massi (lo scoglio degli Asinelli e  le rocce Porcelli); l'isola di Circe (Eea) è Ustica; le isole Planctae naturalmente sono le Eolie...e così via, scorazzando per tutto il Mediterraneo occidentale.
Ma c'è di più!  Trapani è  Scheria, ma nello stesso tempo, descrivendola da diverse angolazioni e con particolari diversi per differenti episodi, Trapani è anche Itaca!
Semplice! Omero (Nausica, marinaio trapanese o chi altri mai?), non conoscendo direttamente lo scenario ionico, ma avendo una personale familiarità con lo scenario di Drepanon, ne usa gli aspetti per descrivere Itaca, così come poco prima aveva fatto per Scheria: è una necessità "tecnica", oltre che un atto di omaggio nei confronti della propria terra, per conferire concretezza alla descrizione dei luoghi, ma è anche una sorta di gioco, come quello che da bambini ci faceva adattare il piccolo giardino di casa di volta in volta, secondo il tema proposto, a fortino, aereo da combattimento, nave corazzata, bosco, bottega, studio medico e così via.
Demolite -carte topografiche alla mano- le teorie "ioniche" finora accredi­tate sulla collocazione di Itaca, San Cusumano (già terra dei Feaci) diventa ora il porto di Forchis o di Reitro sotto il Neio boscoso (che sarebbe Erice) e la zona dove viveva Laerte, senza trascurare le vicine caverne che hanno visto gli amori di ninfe e dei; il Colle di Ermes, dio dei ladri, è quello di Sant'Anna (secondo il Barrabini è invece il colle(!) di Casa Santa) sopra "u passu  'latri"; Same   ionica è Favignana (Aegusa, l’isola delle Capre), Zacinto è Levanzo, Marettimo viene utilizzato per  riprendere Itaca "in esterni”; Asteride è l'isolotto di Formica (basti guardare alla sua forma di asterisco); le Isole Veloci corrispondono agli Scogli Porcelli, Dulìchio s'identifica con l’Isola lunga.
E quante notazioni ,  quante osservazioni, quanto "studio"ma insieme quanto calore "mediterraneo" in un lavoro scientifico, che man mano avvince il lettore anche più "freddo" e  meno  vicino agli episodi e personaggi della mitologia classica, per  assumere i contorni di un fantastico racconto dell' infanzia, vissuto con un trasporto ed una "sofferenza" che, preso negli ingranaggi del vivere quotidiano, egli si riteneva ormai incapace di  esprimere.
Ma tutto questo, ovviamente è stato scritto in inglese, e  inglese è  il tosto del volume, donato alla, Biblioteca Fardelliana di Trapani da un benemerito cittadino (un certo Signor Gaetano Baglio), pubblicato nel 1957 da una casa editrice neozelandese: una fonte quindi  "riservatissima" per i pochi cultori  della materia seguaci della teoria-madre di Butler (pure questa, si badi, nota finora nel testo inglese), che volessero seguire gli sviluppi ad essa d.ati dal Pocock. Ed è alquanto singolare che nessuno, tradotto alfine (1968) il Butler, abbia ritenuto necessario curare contemporaneamente la traduzione dell'origine siciliana dell'Odissea, l'anello successivo del filone di pensiero che veniva prendendo sempre più consistenza, in una direzione che  avrebbe dovuto suscitare l'interesse e l’iniziativa della cultura ufficiale, per una sua larga divulgazione, sia pure inizialmente limitata all'ambito locale.
Dobbiamo essere quindi grati a Nina e Nat   Scammacca  che hanno provveduto (loro, dei "privati”!) a colmare una tale lacuna traducendo il lavoro di  Pocock, traduzione già  pubblicata a puntate, dal maggio 1982 al gennaio 1983, su Trapani Nuova e ora organicamente (e quindi più leggibilmente) esposta in un bel volume edito (1986) dalla Cooperativa   Editoriale Antigruppo Siciliano: un distillato d'amore, venuto alla luce mercè l'infaticabile appassionato impegno (impegno in tutti i sensi, compreso forse quello di obbligazione cambiaria) di questo gruppo  di irrecuperabili sognatori che si chiama "Antigruppo" .

Parlando di origine siciliana dell'Odissea, non si può infine non accennare all’opera di Vincenzo Barrabini (finalmente uno studioso di casa nostra! per inciso, fratello del professore d'inglese traduttore dì Butler), "L'Odissea rivelata", pubblicata nel 1967: un lavoro prezioso, ampiamente e meno superficialmente documentato, un punto fermo, una ricostruzione puntuale completa ed avvincente della "teoria siciliana" (un testo che merita studio e lettura integrale), nato da un iniziale atteggiamento di grande scetti­cismo e via via di crescente interesse ed amore, sulla scia della fondamen­tale elaborazione di Butler e Pocock.
Il seguito,come suol dirsi,al prossimo numero.


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