Intervento di Mario Gallo alla
presentazione di una pubblicazione su Alberto Sinatra
– Bonagia 18 giugno 2016
Sfogliando
la pregevole pubblicazione che ci viene
presentata, mi ha subito colpito, quando si dice le coincidenze, l’episodio della
sospensione dalle lezioni del figlio della lupa Alberto Sinatra, reo di essersi
presentato a scuola, nel 1941- XIX dell’Era Fascista, in …borghese, episodio
che fa il paio con quello capitato a me negli stessi anni al sabato fascista,
nella sede della GIL (per i più giovani traduciamo in: Gioventù Italiana del
Littorio) di Via Virgilio, quando un
gerarca fascista, amico di famiglia, professore di lettere negli altri giorni, con fiero cipiglio, panza in dentro e petto in fuori
com’era di prammatica allora, ebbe a mettermi alla gogna davanti allo
schieramento in armi dei balilla che
passava in rassegna, col disonorevole marchio di “scalcinato”. Era successo che, in luogo degli scarponcini neri
d’ordinanza previsti dalla divisa di balilla, in mancanza d’altro mi ero
presentato con comuni scarpe marrone: mi giocai l’ambita promozione a balilla
moschettiere.
La mia e
quella di Alberto erano infatti segni di trasandatezza imperdonabile nel
contesto della farsa che il popolo italiano era stato chiamato a rappresentare
sul palcoscenico della storia: oceaniche adunate di uomini e donne sinistramente bardati di nero, fanfare e
marziali sfilate cadenzate al passo dell’oca, la mistica fascista iniettata
nelle vene dei giovani fin dai primi anni di vita, la grandezza imperiale di
Roma, la superiorità della razza, il Mediterraneo “Mare Nostrum”, un repertorio
di baggianate tragicamente trascinate all’inevitabile sbocco: la guerra, poche
migliaia di morti da presentare al tavolo della pace per spartirsi un ricco bottino
con l’allievo germanico.
E vennero
le bombe: nel cuore della notte, svegliati dal lacerante urlo delle sirene
d’allarme, ci precipitavamo nel precario ricovero di fortuna vicino casa (di
fortuna nel senso che era proprio un
caso di fortuna uscirne vivi se colpito da una bomba
E i morti,
il pianto di madri e spose, la fame, la
disperazione, il degrado materiale e morale che segnavano il nostro affacciarci
alla vita defraudandoci del diritto al naturale approccio all’adolescenza e
alla giovinezza.
Alla fine
di questa gigantesca operazione di macelleria umana, uscivamo malconci dalla
tragedia vissuta ma “vaccinati” per il futuro (almeno così credevamo!)mentre all’orizzonte
si accendevano i bagliori di un giorno nuovo: aprivamo gli occhi intravedendo una
realtà ben diversa da quella gabellata come modello assoluto di vita
individuale e associata; ci fu dato sfogliare un immaginifico sconosciuto
dizionario di parole e proposizioni
nuove: sovranità popolare, libertà di formazione ed espressione del pensiero,
uguaglianza dei cittadini senza distinzione di genere, di religione, di
appartenenza politica, di censo o di posizione sociale, abolito addirittura il
titolo di “eccellenza” (che pur tuttavia, tra parentesi, è ancora duro a morire
in certi ambiti della burocrazia).
I primi pantaloni lunghi,
l'esame di maturità,tanti amici, tanti sogni, nell'aria un profumo chi ti mette
addosso una smania stimolante, appagante, è primavera, la tua, e non lo sai: è
l'età.
Tornavano
in circolazione il pensiero e l’azione dei grandi italiani che avevano dato
vita alla luminosa epopea risorgimentale che, altra parentesi, dissennati
pennivendoli al soldo dei potentati affaristico mafiosi dell’Isola osano oggi infamare e rimettere in discussione: si è
arrivati a definire i Mille “avanzi di galera” e non possiamo non annotare
-parentesi quadra nella tonda- che l’11
maggio scorso a Marsala, all’inaugurazione del monumento ai Mille, non era
presente alcun rappresentante delle istituzioni nazionali e regionali: ovvio, i
Mille non votano!
E’ la tua
primavera e insieme la primavera della Repubblica.
I primi comizi, tanta esultanza, repubblica, libertà, uguaglianza; ci incantiamo alla lettura degli striscioni bianchi rossi verdi affissi
al Passo dei Ladri a Borgo Annunziata:”La Repubblica è una casa di vetro.-
Capitale e lavoro nelle stesse mani. -Il popolo è sovrano, giustizia e libertà.
- Libera Chiesa in libero Stato.- Dio e Popolo.-La Repubblica Romana:
Garibaldi, Mazzini Mameli.
Mameli,il più vicino all’immaginazione di noi giovani:
il nostro eroe caduto a soli 22 anni durante la difesa della Repubblica Romana,
autore di quell’inno che ci faceva battere forte in petto il cuore quando
ancora non era stato adottato a inno ufficiale della Repubblica Italiana, da
canticchiare incerti alle partite internazionali di calcio.
I lucciconi agli occhi, il cuore batte forte e canti "Fratelli d’Italia...siam pronti
alla morte"; lucciconi e batticuore
che si presentano tuttora puntualmente tutte
le volte che ne sento le prime inequivocabili battute.
A Borgo, per iniziativa di vecchi
mazziniani antifascisti come Giuseppe Di Giorgio e il maestro Saverio Minucci e
di giovani come Nenè Schifano e Vincenzo Rizzo, era stata creata una Sezione
del rinato Partito Republicano, sistemata in
via Marconi: due stanze molto piccole, due tavoli sgangherati, qualche sedia; non ci sono capi, fra loro si chiamano amici.
Da lontano, dalla
via Palermo, si vede brillare qualcosa come un lumino
in mezzo al mare, una luce amica: avvicinandoti scorgi una luminosa foglia
d’edera, un faro che indica un percorso:
il nostro.
Nel
suo ambito nasceva il Circolo Giovanile Goffredo Mameli, dove ci ritroviamo
molti giovani: c’è la fascia che si aggira sui 18 anni, e c’è anche un discreto
gruppo di pulcini al seguito; ne ricordo alcuni: Pino Carlino, Pietro Miceli,
Franco Manca, Gino Vultaggio,Paolo Poma, Salvatore Messina, Peppe Spezia, Rino
Maranzano e…lupus in fabula Alberto Sinatra
I
soliti cosiddetti ben pensanti ci chiamavano, in tono non necessariamente
irridente: “quattru picciotti”: divenne il nostro distintivo d’onore, prendemmo
ad assaporare il gusto dell’essere minoranza sì ma pulita, non disponibile a
compromessi quando erano in gioco gli ideali, quelli sentiti e praticati.
Dopo
l’avvento della Repubblica, ci trasferimmo nei più ampi locali di Via Conte
Agostino Pepoli negli immediati pressi del Santuario della Madonna: per molti
di noi divenne la seconda casa, denominata appunto “u fossu”, difficile
allontanarcene. Qui prese vita una comunità nel segno dell’amicizia, la più
schietta e disinteressata, e degli ideali - se volete anche delle illusioni- coltivati
con passione e disinteresse personale, cui si accompagnava un diffuso senso di
solidarietà (per andare al cinema o visitare altre dimore chiuse, si faceva
cassa comune: i più facoltosi, si fa per dire, soccorrevano quelli
squattrinati…la maggioranza!).
Qui si
discettava di politica, ma allo stesso tempo si parlava di quelle ragazze che
incrociavano le nostre occhiate assassine durante le passeggiate serali in Via
Palermo e in Via Pepoli; si giocava a carte e poi si dibattevano
appassionatamente temi come la preferenza da dare al tricolore o al drappo
rosso con l’edera per rappresentare il PRI nel solco della tradizione repubblicana
(la mia preferenza era per il drappo rosso, quello che molti anni dopo
amorevoli mani domestiche dovevano tagliare e cucire quasi a suggellare una
comunanza di vita con la consonanza degli ideali); ci trasferivamo al campetto
di Raganzili, incontrandovi magari un ragazzotto di nome Nino Zichichi, a
correre dietro un pallone d’incerta conformazione sferica per tornare in sede
alle prove di un lavoro strappalagrime da rappresentare sul palcoscenico del
Circolo (anche gli attori pagavano il biglietto d’ingresso!); si partecipava con
ardore alle campagne elettorali, mentre fuori dal circolo si preparava la colla
(la farina ce la procurava Peppe Marrone) per attaccare di notte i manifesti
sui muri delle case del Borgo maldestramente e col rischio di essere scambiati
per ladri.
Eravamo
un gruppo di avanguardia, autodidatta della politica, che esprimeva laiche
posizioni di libertà ed apertura, una presenza sicuramente anomala nelle acque
stagnanti della palude conformista, paramafiosa o, nel migliore dei casi,
ignava ed agnostica del chi te lo fa fare, stabilmente piazzata in questo
lembo di periferia cittadina.
Qui mi
viene in mente la crociata di fuoco (quando si dice la carità cristiana!) bandita
dai frati carmelitani del Santuario della Madonna con affollato e plaudente
comizio da loro tenuto al Passo dei Ladri contro una piccola comunità
evangelica sorta a Borgo Annunziata: turbava il quieto vivere dei bravi
cattolici del Borgo!
Le
esigenze della vita mi hanno visto lasciare a malincuore i luoghi della
giovinezza; da lontano non ho mancato di seguire le vicende dei quattro
picciotti giovandomi anche delle pagine del Trapani Nuova, la cui raccolta per
inciso, assieme a quella del mio Lumie di Sicilia, è stata meritoriamente
accolta nel sito “Trapani Nostra” di Lorenzo Gigante.
In
campo nazionale, dopo lo storico avvento della Repubblica, seguito dalla
divisione in blocchi contrapposti delle nazioni che avevano vinto la guerra, ai
partiti minori sul piano elettorale restava poco spazio.
Per le
strade di Borgo, monellacci forse prezzolati si illudevano di umiliarci
gridandosi in facci…a pampina siccau!
e noi?...niente ci fa, più buia è la notte,
più vicina è l’alba; si volta
pagina e si ricomincia, come nella vita di tutti i giorni.
Il PRI
onorò per lunghi anni con dignità il suo ruolo di forza laica non disposta a
compromessi; è in questi anni che si inserisce il miracolo della Borgo
repubblicana che porta a Montecitorio il suo più degno, indimenticabile e
indimenticato rappresentante, Nino Montanti.
Quanto
allo sconvolgimento dell’assetto politico seguito a Mani Pulite non posso qui nascondere la profonda
amarezza procurata in anni più recenti a noi della vecchia guardia da un atto
contro natura, il tradimento della tradizione libertaria e mazziniana
perpetrato dal gruppo dirigente del Partito, mortificato e degradato al ruolo
di lacchè del piroettante castellano
signore di Arcore, al quale comunque, per inciso, in questi giorni non va
negato un segno di umana solidarietà.
Eravamo
un gruppo, uno stile e una scuola che per molti di noi è stato terreno di
formazione umana e civile, un patrimonio prezioso cui attingere a piene mani negli anni avvenire,
una struggente sequenza di immagini indelebili, che ci rende orgogliosi di
poter dichiarare: nel gruppo dei “quattro picciotti” io c’ero!
Parlare di loro, di questa giovanile
consociazione che rimane il patrimonio spirituale più prezioso della nostra
vita, è stato oggi - in questa toccante giornata della memoria e degli affetti-
il mio modo di esprimere l’affetto e la stima che ci legano ad Alberto che, con
Nino Montanti, condivide il ruolo di protagonista di questo nostro piccolo
mondo antico: un affettuoso e ammirato omaggio al percorso umano, politico e
professionale di uno di quei ragazzi: l’amico Professore Avvocato Alberto
Sinatra.
Percorrendo
il lungo viale del tramonto, ci capiterà di fermarci un attimo e voltarci
indietro: aguzzando la vista indebolita dagli anni, lontano, laggiù, ci
sembrerà di scorgere un puntino luminoso: no, non è effetto di senile allucinazione:
è la luminosa verde foglia d’edera dei nostri anni verdi!,
sento il bisogno di manifestare (vox clamantis in deserto!) tutto lo sdegno e l’amarezza suscitati dalla visione del Cav. Berlusconi concionante, con alle spalle l’antico rosso vessillo con edera che fu del partito libertario di Mazzini, Saffi, Colaianni, Giovanni Conti, Randolfo Pacciardi, Ugo La Malfa, Bruno Visentini e Giovanni Spadolini.
sento il bisogno di manifestare (vox clamantis in deserto!) tutto lo sdegno e l’amarezza suscitati dalla visione del Cav. Berlusconi concionante, con alle spalle l’antico rosso vessillo con edera che fu del partito libertario di Mazzini, Saffi, Colaianni, Giovanni Conti, Randolfo Pacciardi, Ugo La Malfa, Bruno Visentini e Giovanni Spadolini.
Nessun commento:
Posta un commento