domenica 9 dicembre 2012

2011: 150 anni dell'unità d'Italia



                                  Non cancellate i sogni!                            
               No alle perdite diffuse del senso
del limite e della responsabilità
Giorgio Napolitano
Festeggiamo quest’anno i 150 anni di vita della nazione italiana, annotando con sdegno ed amarezza i distinguo, le riserve, le piazzate e le sceneggiate che hanno accompagnato l’evento da parte di ben individuati settori del Nord e del Sud del Paese.
Con tanti italiani, il  17 marzo ho esposto il tricolore, non per seguire una “direttiva”, ma perché questa collettiva manifestazione esteriore mi dava l’occasione per riflettere  sul mio modo di essere e “sentirmi” cittadino di questa comunità nazionale, per rivendicarne la dignità di uomo libero condivisa con milioni e milioni di miei simili e per ripercorrere un itinerario di vita iniziato nei lontani anni della prima giovinezza.
Usciti dalla tragedia di una folle guerra, spezzati i ceppi dell’oscurantismo, affrancati dalla mistica  fascista inculcata fin ai neonati, mentre ancora ci dibattevamo nelle difficoltà materiali del vivere quotidiano, dalle macerie delle nostre case ci affacciavamo alla primavera della vita, la nostra, che coincideva con quella della Repubblica; si aprivano nuovi orizzonti, quasi increduli scoprivamo “diritti”, fino ad ieri mai messi in conto: riunirci libe-ramente, esprimere discutere, rispettandole,  le nostre e le altrui opinioni, manifestare questa gioiosa gratificazione, unendoci idealmente ai Fratelli d’Italia, … pronti alla morte perché l’Italia chiamò”.
Commossi e riverenti, noi giovani di allora, non possiamo e non dobbiamo sottacere l’indecente avvilente immagine offerta oggi, a questo passaggio di solenne impegno, da alti rappresentanti delle istituzioni: smorfie e plateali scongiuri con ostentata corsa a metter mani alle…tasche –loro, i cultori del celo-durismo!- per la verifica dell’esistenza in vita dei loro ferrigni attributi, icone le più rappresentative, in uno con la faccia, della loro primigenia essenza, mentre un noto allevatore di ...trote cisalpino si  abbandona all’elegante rito del digitus impudicus in un tripudio di debordante folla, satolla di rocchi e tocchi di padana salsiccia innaffiata da ripetute  e copiose libagioni..
Chiusa parentesi.
Mondata degli orpelli del nazionalismo retorico, razzista e sopraffattore, ci veniva incontro l’idea di “Patria del popolo sorta sulle rovine della Patria dei re”: ecco, Mazzini!
su 'l fluttuante secolo, ei grande,
austero, immoto appare
(Carducci, Giuseppe Mazzini)
bandiera della Repubblica Romana
A voi uomini nati in Italia, Dio assegnava, quasi prediligendovi, la Patria meglio definita d’Europa Dio v’ha  steso intorno linee di confine sublimi, innegabili: da un lato i monti più alti d’Europa, l’Alpi, dall’altro il Mare, l’immenso Mare.”
Ci accostavamo orgogliosi e grati ai protagonisti del nostro Risorgimento fondato su Pensiero, la Patria, ed Azione: i moti popolari del 1821 e del 1848, l’epopea garibaldina dei Mille



È Garibaldi , scinnutu d'a mari:

iddu stissu 'mpirsuna vinni ccà
                                                                                                         pri darci la pirduta libirtà.


Ci battevamo per la Repubblica, premessa necessaria per realizzare “la Patria del popolo”, in un’atmosfera di entusiasmo, di speranza e di solidarietà, si credeva e ci si batteva con passione per “ideali”.
Per volontà di popolo nacque la Repubblica e in appena diciotto mesi fu promulgata la  carta costituzionale, che consacrava la nostra dignità di uomini liberi.
L’Italia rinasce per virtù di popolo e saggezza di governanti, col contributo determinante, spesso mortificato o ignorato, è bene ricordarlo, di una marea di  emigranti meridionali che hanno lasciato la loro terra con la morte nel cuore e uno straccio di  speranza raggomitolato in fondo ad una valigia di cartone.
Arriva un benessere mai prima conosciuto che, ma è nella natura umana, apre però la  strada, sempre più invasivamente e impudentemente, agli egoismi, alla spavalda aggressività e alle chiusure, off limits, non è più  tempo di solidarietà e unità: “cu’ avi chiù purviri spara,”cinicamente o amaramente sentenziava un detto di casa nostra.
Mazzini riprende il suo posto in soffitta.
 “Non c’è più religione!” lamentavano i nostri nonni di fronte al presunto cedimento del costume e della morale rappresentato da modesti accenni di innovazione. Possiamo ben riprendere oggi questo motivo noi, dovendo subire, increduli ed attoniti, il livoroso stizzoso melenso e stridulo controcanto (“niente da festeggiare!, anzi…”) che vede per l’occasione ancora in campo, dilagata in ogni dove e su  tutti i siti della rete, un’accoppiata, “innaturale” solo in apparenza, impegnata in una disperata quanto pertinace operazione di vivisezione demolitoria della storia patria,
E così Lui, Garibaldi, lo ritroviamo bruciato in effigie da giullari di paese, succubi di quegli stessi cattivi maestri che propugnano di abbatterne i monumenti che lo ricordano in tutte le piazze d’Italia, per sostituirlo nientemeno con Pio IX!
Le teste d’ariete della disgregazione e della mistificazione picchiano addirittura contri “i principi” del patto di convivenza civile stipulato al nascere del regime democratico. Mentre, a ridosso delle Alpi,  opulenti quanto invasati ed arroganti cerberi “padani” (calpesti e derisi?), verde incravattati  a tinta unita o anche a pois, pochette adeguata, in servizio permanente di guardia allo scrigno dei danè, nel maldestro tentativo di conferire una patina storica ed etica ai loro prosaici interessi di bottega -ma quale unità d’Italia, ma quale tricolore, ma di che stiamo parlando!-rivendicano la discendenza da Brenno (accezione latina di “corvo”), capo della tribù celtica dei Galli Senoni, quello, per intenderci, che -guarda caso!- pretese da Roma “ladrona” ben mille libre d’oro.
Penso che, a questo punto, un riquadro  ad personam meritano alcune lepidezze del sullodato allevatore cisalpino:

“Quando vedo il tricolore io m’incazzo. Il tricolore lo uso soltanto per pulirmi il culo”.
 “Il nostro popolo è pronto ad attaccare. Si dice che il Paese stia andando a fondo, ma io conosco un solo Paese, che è la Padania. Dell'Italia non me ne frega niente.”
"Basta con la sigla Spqr, senatus populusque romanus... io dico: sono porci questi romani".

Abbiamo parlato di “accoppiata”. Trasvolando i cieli d’Italia, ultra Fretum Siculum (non  ancora deturpato dal favoloso “Ponte” che,  dovrebbe “unire”: ma chi e perché?, ci domandiamo a questo punto), al vento del Nord vengono festosi incontro altri “estimatori” dell’Eroe dei due mondi”:
Cumpà, quello era un latro di cavaddi
che faceva il pirata bucaniero,
di pilu lungarinu a supraspaddi
pirchì n'oricchia ci mancava vero,
no pi mancanza, ma tagghiata e vvìa
pirchì campava di piratarìa.
Padani e siculiani (…fratelli d’Italia?) sottoscrivono il “Patto per le Autonomie, che  permette, finalmente, la necessaria sinergia tra il Nord e il Sud del Paese”.
Ci è toccato sentire pontificare che, ipse dixit: “…se la Lega volesse dividere l'Italia, la Sicilia “avrebbe tanto da guadagnarne se volessero la secessione e a noi dessero la nostra libertà di autogovernarci”.
Ma questo sarebbe niente. A parte l’etichetta di “avanzi di galera” appioppata ai Mille di Garibaldi, qualcuno ha scoperto che “I primi campi di concentramento e di sterminio in  Europa li istituirono gli italiani del Nord per tormentare e farvi morire gli italiani del Sud a migliaia, forse a decine di  migliaia (non si sa perché li squagliavano nella calce)…”
Che dobbiamo fare? Ammuccamu?!
Cui prodest? Chi è il regista di questa colossale truffa? Chi li finanzia? Col rispolverare istanze “legittimiste” di questo tipo, una sorta di delirium fremens destructionis, cieco, acrimonioso e massimalista, dove vogliamo andare a parare? Cosa cerchiamo? Vogliamo un lungo e sincero baciamolemani  per la Sicilia  dal Presidente del Consiglio pro tempore a titolo di “riparazione” per i torti subiti da parte di…Garibaldi?
Vogliamo rimanere abbarbicati al vittimismo di ritorno, alibi largamente sperimentato nel corso di decenni per giustificare e legittimare trasformismo, allegra finanza, faraonici privilegi, inefficienza,  furbizie,  coperture, inconfessabili connivenze?
(Istruttivo, su certo modo di gestire la politica isolana, il “bozzetto” – Al servizio del popolo – magistralmente tracciato dal prof. Rocco Fodale, riportato nelle pagine che seguono).
Opportuno  qui riprendere, per dichiararne la nostra piena condivisione, la conclusione dell’ampio e acuto excursus storico politico-sociale di Eugenio Giannone pubblicato sull’ultimo numero di Lumie di Sicilia:
Nessun siciliano mette in dubbio l’Unità della Patria per la quale nei moti risorgimentali e nelle guerre molti hanno combattuto e dato la vita. Francamente un po‘ tutti i nostri avi si sarebbero aspettati un trattamento diverso e una maggiore attenzione e autonomia, che quando è arrivata non è stata saputa adeguatamente indirizzare. Se i “piemontesi” hanno colpe, sicuramente le loro responsabilità sono minori di quanti avrebbero dovuto rappresentare al Parlamento nazionale le istanze dei Siciliani, un popolo che s’è abituato a chiedere per favore quanto gli spetta di diritto, ad aspettare che gli altri risolvano i suoi problemi e a flirtare col potere”.
* * *
Per partecipare a questa straordinario compleanno abbiamo voluto indossare …l’abito della festa, una inconsueta copertina a colori, con la quale vogliamo richiamare alla nostra memoria alcuni  momenti storici che dalle Alpi al mare di Sicilia hanno visto significativamente adottare  lo stesso simbolo di unità, il tricolore. Ancora legati al “mito del Risorgimento”, il sogno che ha gratificato la nostra giovinezza, nelle pagine interne, poi, andiamo “spigolando” qua e là sco-prendo oscuri eroi ed eroine della terra di Sicilia, che hanno dato il loro apporto al travagliato parto di questa creatura concepita dalla mente e dal cuore di personaggi che nessuno mai potrà  cancellare dai nostri cuori.
Dalle Alpi al Mare, quindi, ben tornata, (giovane) Italia!



Giuseppina Turrisi Colonna
Figlia del barone Mauro Turrisi e di Rosalia Colonna, Giuseppina (1822-1848) trascorse quasi tutta la sua breve vita a Palermo, dedicandosi allo studio delle lingue antiche e della storia sotto la guida di Giuseppe Borghi e di Michele Amari, storico dei Vespri Siciliani. Per il suo spirito patriottico fu nota, in Sicilia, come la "Santa Rosalia del Risorgimento".
Giuseppina scrive articoli sul polemico giornale palermitano "La ruota" e nel 1846 trascorre l´estate a Firenze. È fra i primi a superare il soffocante concetto di "patria siciliana" e continua a rivolgersi alle donne, da cui attende un risor-gimento morale perché diventi possibile quello politico. E sogna un´Italia unita, senza per questo nemmeno per un momento credere in papa Pio IX perché l´Italia non può rinascere «nelle tene-brose sale del Vaticano».
da L'ADDIO DI LORD BYRON ALL'ITALIA.
Italia! Italia! com'è dolce il suono
Della celeste armonica favella!
Nel ciel, nelle odorate aure, nel dono
D' ogni cosa gentil, come sei bella !
Di foco è l'alma dei gagliardi, sono

Di foco gli occhi d' ogni tua donzella;
E da quegli occhi, da quell'alme anch'io
Se il bel foco ritrassi, Italia, addio.

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GASPARE BURGARELLA AJOLA
Appartenente ad un antica famiglia imprenditoriale, che alla fine del XVIII fece la fortuna economica di Trapani, Gaspare Burgarella Ajola fu il nonno ma-terno dell'illustrissimo letterato trapanese
 "Tito Marrone".
Gaspare Burgarella Ajola fu un gari-baldino che, insieme ai fratelli Agostino e Ignazio, fu insignito della medaglia di bronzo al valor militare per essersi distinto nelle battaglie del Risorgimento italiano.
In una lettera all'amico giornalista trapanese Pietro Vento del 16 agosto 1962, Tito Marrone ricorda come il nonno
materno, Gaspare Burgarella Ajola, aveva salvato nel maggio 1860 la bandiera del piroscafo "Lombardo" sotto il bombar-damento borbonico, che gli fu poi donata da Giuseppe Garibaldi e che è conservata al Museo Pepoli di Trapani.
(sul sito “Trapani Nostra”)


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sul n. 72 di Lumie di Sicilia - giugno 2011

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