sabato 8 dicembre 2012

a tabacchera



Politica: arte e scienza di governare, di promuovere il bene pubblico. In democrazia, quindi, un uomo che “fa politica” è un tale che assomma in se la “vocazione”, per un esercizio che abbia uno scopo più nobile (il bene pubblico) di. quello di un mestiere o di una professione, e la “competenza” necessaria per promuovere e porre in essere gli atti più idonei al raggiungimento di tale fino.
Se ci guardiamo attorno, queste definizioni appaiono succo di beffarda ironia, sinopie “qualunquistiche” tratteggiate a-posteriori, a memoria, per definire l’immagine anonima, l’identikit del corrotto ed incompetente, in cui riconoscere a proprio piacimento questo o quell’uomo politico.
Quando un uomo politico sia universalmente riconosciuto e bollato, dentro e fuori del suo partito, per un maneggione disonesto; quando un uomo politico, abile è fuor di dubbio, sia riuscito ad intessere attorno a se tutto un intrico d’interessi ed una rete di fedelissimi, dentro o fuori del suo partito, per recitare il ruolo del regista e del primattore; quando un uomo politico, professando alte idealità e giurando e spergiurando la sua vocazione per il bene comune, scucia decine e centinaia di milioni per procacciarsi, per comprare, voti a se ed ai suoi compari, milioni dei quali è ignota, o fin troppo nota, la provenienza; quando  t’imbatti in individui del genere, di grazia, è azzardata, è qualunquistico denunciarli come “mafiosi” e chiederne l’invio al confino della morale, visto che i mafiosi non si riesce mai a sbatterli in galera?
Il nostro paese, ce lo ripetiamo fino alla noia, è la culla del diritto. Ma il ragazzino, strada facendo, s’è fatto furbo, ha affinato la sua tecnica, le ha dato i contorni dell’arte, del bizantinismo, della capziosa dialettica leguleia: ecco, quindi, che si pretende, a gran voce, la “prova”, lo straccetto insanguinato della perduta illibatezza, mancando il quale, e soltanto allora, puoi proclamare che la sposina è una puttana. Ma, puoi esserne certo, i casi sono due: chi ti chiede la “prova” o è un povero ingenuo, o se l’è spassata in lungo e in largo con la sposina, beninteso senza arrivare all’irreparabile.
Quindi, per favore, se le cose stanno così,l asciamo stare gli ideali e trattiamo di. affari.
A proposito di affari, mi sovviene una barzelletta dei tempi ginnasiali, tuttora il cavallo di battaglia di un caro amico che, sollecitato a gran voce nelle nostre riunioni conviviali estive, nell’atmosfera disinibente procurata da un buon bicchiere di vino di casa nostra, ce la torna a raccontare con fare fra l’imbarazzato e l’impertinente. Eccola ,in sintesi, e per quanto possibile sotto metafora: su consiglio della madre, evidentemente memore di analoga esperienza condotta con successo, una sposina, non più illibata, cerca di mascherare questa sua riprovevole e pericolosa condizione procurando, al momento giusto della rituale prima notte, la chiusura di una tabacchiera (opportunamente e preventivamente collocata), il cui scatto metallico, un rumore sordo ma secco, dovrebbe riprodurre il rumoroso strappo che (secondo la madre), in condizioni normali, accompagna la caduta dell’ultima barriera difensiva offerta alla giovinetta da madre natura. Il tutto sottolineato, per dare maggior forza alla sceneggiata, da un sospiroso ultimo saluto alla perduta verginità. Ma ecco che, nell’esecuzione del piano, accade l’imprevisto: nella concitazione del momento, le fauci della tabacchiera non si limitano a fare da cassa di risonanza del rumore imeneo ma, con la rabbia di un mastino inferocito, addentano le parti più vitali del malcapitato sposo, il quale,facendo eco al grido truffaldino dell’infedele compagna, dà a sua volta il suo doloroso e malinconico addio ai serbatoi della sua mascolinità.
Come un po’ tutte le barzellette, anche questa nella sua innocente volgarità contiene una parabola, ben adatta a quanto dicevamo prima.
La morale della favola è presto detta: a rimetterci, comunque, son sempre i coglioni.
(1981)

                                                 

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