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Samuel Butler |
Premettendo che
non era mia
intenzione inoltrarmi
nell'avventuroso terreno delle "recensioni",
nella precedente nota ("l'Odissea siciliana") mi
sono soffermato sulla teoria " rivoluzionaria"
di un inglese, Samuel Butler ( esposta nell'Autrice
dell'Odissea" ), ripresa e sviluppata
poi da un professore neozelandese, L. G.Pocock con "L'origine
siciliana dell 'Odissea", tradotta da Nina e Nat Scammacca,
secondo la quale:
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L. G. Pocock |
-la maggior parte
dei luoghi descritti nell'Odissea
corrispondono a Trapani e dintorni ;
-l'autore
dell'Odissea doveva
conoscere profondamente quei posti ed essere quindi trapanese (una donna
trapanese: Nautica?) .
La nota si concludeva
con un rapido cenno alla ricomposizione sistematica della tesi "siciliana" mirabilmente operata da
Vincenzo Barrabini, studioso di casa nostra, passato
dall'incredulità iniziale all'interesse e infine
allo studio amorevole di una materia
così affascinante, capace
di suscitare sopite energie e di lievitare
fermenti ben al di là della sfera strettamente storico-letteraria.
La stessa curva
di sentimenti che
mi hanno spinto ad occuparmi
della questione, nei...fumi
della solenne ubriacatura procuratami
dalla febbrile lettura di testi in
cui l'illustrazione di luoghi
così familiari finiva per ]
immedesimarmi nella
vicenda, quasi da
protagonista.
E
ad un ubriaco cosa vai
a chiedere se l'intuizione di
Butler, gli assiomi di Pocock o
la ricostruzione di Barrabini
possano avere o non "validità scientifica”!?
A questo punto, non è
tanto la tesi di per se,
pur sostenuta con convincimento
e credibilità,
con fede, con gioia quasi infantile,
che più
c'interessa, quanto l'aver trovato una leva, un
appiglio, uno scoglio cui aggrapparci per non farci sommergere
dall'onda dell'abulia
e della rassegnazione di oggi,
per librarci sulle ali della
fantasia che conduce
alla realtà, per cantare
col nostro professore
neozelandese 1’antica gloria,
leggenda e mito, per
farne il vessillo della
riscossa, della rinascita, del riscatto.
Cosa conosciamo di queste nostro
lontane radici?! mi chiedevo,
mentre nella mia estemporanea lettura estiva potevo, grazie alla guida del
Pocock, "rivisitare" in simultanea
orizzonti e luoghi della giovinezza,
allora appena sfiorati da sguardi
disattenti quotidiani ignari, ed ora improvvisamente divenuti teatro
di una vicenda
umana, quella di Ulisse-Odisseo, vissuta e narrata
migliaia di anni fa,
che si rinnova sempre uguale di
generazione in generazione, perchè in essa puoi ritrovare la cronaca della vita errabonda dell'uomo
di tutti i secoli, e quindi anche della nostra.
E niente o quasi niente
abbiamo continuato a conoscere.
Il nostro Pocock (ma non dimentichiamo Butler e
Barrabini!) mette ora a nudo radici sepolte nella stratificazione
dei secoli e si
affanna a dimostrarci che sono le nostre: per
i Trapanesi di oggi, ormai rassegnati a sentire additata la loro città come la capitale della mafia,
ci "sarebbe" ben di che meditare, oltre e più che
inorgoglirsi.
Se potessimo contare su una classe politico-dirigente meno
impreparata, meno inconcludente, meno impegnata nei giochetti e
negli ammiccamenti personali e partitici,meno indaffarata in
"affari" più o meno puliti, più sensibile al richiamo ed al fascino
dei filoni più genuini della "cultura delle radici”; se
i vari sodalizi cittadini che si sono
appiccicati addosso l'etichetta e le finalità della
cultura al servizio della comunità, non esaurissero la loro funzione nelle periodiche frivole
adunate conviviali, riservate a consociati (e relativo signore) vanesi e
boriosi quanto insulsi, gretti e torpidi; se la comunità cittadina, giovani e meno
giovani insieme, non fosse ormai incapace di rendersi conto
dello stato di degrado in cui è precipitata e di trovare quindi in se il guizzo
d'orgoglio necessario per porre mano alla ritessitura di un tessuto ridotto a
brandelli; se tutto ciò non fosse un'avvilente realtà, allora sì, si potrebbe
sperare che non è stato sprecato l'atto d'amore, la fatica di un esploratore di
un lontano continente, venuto fra noi ad inerpicarsi ansante sullo scosceso
pendio .di San Cusumano e Pizzolungo alla ricerca di rare pietruzze colorate,
frammenti coi quali ricomporre il suo caleidoscopico
mosaico del tempo e del mito, alla cui "realtà" poterci aggrappare
come naufraghi allo scoglio.
E’ vero,
qualche altro benemerito studioso "locale" ha ripreso la teoria di Butler e di Pocock ma non si va oltre
l'enunciazione culturale d'elite.
Manca l'azione, fondamentale, di divulgazione
fra i giovani nelle scuole (quanto infinitamente più fruttuosa, in termini di maturazione civile e culturale, e
oltretutto meno dispendiosa, un’escursione
-testi alla mano- a San Cusumano, a Pizzolungo,
ad Erice, a Castellammare, allo Stagnone, alle Egadi, prima che le ruspe ed il
cemento inghiottano tutto nell'ondata travolgente dell'abusivismo
materiale e culturale); mancano approfondimenti e dibattiti a livello
"popolare"; non si è colto
(e chi se
ne occupa!?) lo spunto per un "lancio publicitario"
del mito omerico "siciliano" (come del resto di quello virgiliano), presentatoci
su un piatto d'argento, un lancio che andasse oltre la toponomastica o gli
occasionali richiami delle insegne di ristoranti e fast food o le velleitarie
progettazioni di parchi da parte di chi non riesce nemmeno a conferire un
aspetto (un look, per
dirla col linguaggio di oggi) meno squallido
alla stele di Anchise, che ne dovrebbe costituire il nucleo centrale; è mancato uno
spruzzo di fantasia, un patto d'impegno civile, una
sferzata di orgogliosa dignità, per rifondare una
comunità che, dalle scoperte radici del mito-reaìtà, potesse trarre la linfa per rinverdire il mito
di Scheria (Trapani!) "cinta di mura".
Ma, nonostante tutto, Nat
Scammacca, e noi con lui, imperterrito
invita gli escursionisti della città ad
una scarpinata in montagna (coraggio, bastano buone gambe, scarpe adatte e
svegliarsi di buon mattino!), per inerpicarci su quel pendio a rimirare
l'azzurro cupo del mare da Cofano alle Egadi, a respirare a pieni polmoni
l'aura del Fonte, a ritrovare nascosti sentieri, mentre lui, ansante ma felice, ci
declamerà:
"Noi scordati fondatori di Drepanon, noi arrampicatori della
montagna ,noi scalatori della cima ancor prima che gli Elimi
dichiarassero i nostri occhi incantati dal fascino di Venere
...il nostro popolo
sorgerà dalie ceneri....
e la nostra volontà
antica darà nuova volontà di stare dove
sta la collina,dove la nostra casa sta,dove echi passati
urlano nella notte verdeolivo di vere epiche odisseane,
sempre vivificando questa isola "
Ecco, parliamo dà Nat Scammacca
divenuto, dopo la "scoperta" di Butler e Pocock, il corifeo del
racconto siciliano dell'Odissea, che viviseziona a sua volta sposandolo alle
ricerche storiche (siciliane, ovviamente!) di cui fra l'altro...si diletta, che
fa suo per divulgarlo ed arricchirlo con gli accenti e lo zelo del neofita.
Perchè ?
Ma
perchè la storia narrata da Pocock è il
racconto stesso delia sua vita, sul quale è "inciampato andando alla
ricerca delle mie origini isolane e perciò delia mia identità
"siciliana"; un’aspirazione di trovare una "casa" dopo
avvenimenti vari e piste false."
Ancor prima di leggere la prefazione alla sua raccolta di poesie (solo alcune
delle sue tante, quelle in qualche modo aventi attinenza
con
l'Odissea siciliana, SCHAMMACCHANAT, significativanente
pubblicata nella stessa veste editoriale e contemporaneamente
alla traduzione dell'opera di Pocock, negli appunti che avevo buttato giù
per
la stesura di questa nota avevo segnato: “Nat
= Odisseo”..
E
l’accostamento
non era
arbitrario se lui stesso così ne conclude la
presentazione : "Se ancor oggi
fra i molti popoli ci sono
giramondi e viandanti
che possono
reincarnare lo spirito dell'antico Odisseo, alla
ricerca della sua Isola-Casa attraverso mari e terre,credo
che uno di essi
potrei essere proprio io."
Nessuno può
contestarglielo: basta scorrere la sua
biografia, aver seguito la sua vasta
e
vivacissima
produzione letteraria, il
suo impegno "politico", basta intrattenersi con
lui, guardarlo direi nel suo aspetto
fisico, sentirlo declamare quasi
in trance
i suoi
versi
infiammati di fiamme blu!
A ben guardare, è vero: ciascuno
di noi, dentro
e
fuori Scheria-Itaca, ha
lasciato senza sapere quando
e come la sua
isola, attratto
da
fallaci
miraggi, ed erra
per
il
mondo alla ricerca
di un inafferrabile
domani.
Ma
quanti avranno il lampo rivelatore?
quanti avranno
ancora l'energia
necessaria per drizzare verso Itaca
le vele del ritorno, su un guscio di noce sballottato
dall'ira di Poseidone, insidiato dalle lusinghe della ninfa Calipso
o della maga
Circe, osteggiato da11'
immane Polifemo? quanti
alfine approderanno? quanti
oseranno combattervi i "Proci? quanti non
preferiranno unirsi a loro per saccheggiare
e gozzovigliare nella
casa avita di
Itaca?
Nat Scammacca
ha
avuto
coscienza di questo
errabondo peregrinare, è
riuscito ad approdare alla
sua Scheria-Itaca
("dove il sale
bianco
picchia a
ritmi,
uno dopo
l’altro, tamburi che rimbombano
da mare a mare"),
vi va ritrovando le sue radici dirompendo
le
zolle
petrose
del tempo, non si è
associato ai Proci, ma
li
combatte fieramente cantando in
versi (l'establishment, i fascisti, la mafia, i baroni della
cultura rappresentati dal Lambruschini del rev. Canonico
Fortunato Mondello).
Non è un
visionario, un Don Chisciotte, è Odisseo
che
dopo la guerra vittoriosa
(una
sconfitta!) vuole tornare
alla
casa (Home) che non ricorda più quale e dove
sia; un'amnesia
dalla
quale
può uscire soltanto scavando in se ( "lottando per
le radici dell'io") nel
baluginare delle nebbie che avviluppano il suo cammino ("questo
lungo
cammino
non fu soltanto un sogno"), un
cammino tormentato ("questi lunghissimi giorni d'erbacce e di cattiveria") lungo il
quale trovare alfine ("per il tramite di molti giri"), richiamato dal
"destino", una
fonte
ristoratrice, l'oasi
della "sicilianità" ("Sicily for me to
be free?), nella quale
poter alfine dissetarsi ( "ho scelto le rose"), nella
quale poter riconoscere, gioirne e soffrirne ad un tempo, il suo remoto albero
genealogico ("il blu si fa profondo e io vedo la moneta “Schammachanat" ).
Un'oasi nella quale si
attarda perchè ha da recuperare il tempo perduto (" Oh Cristo! oh Afrodite! quali divinità
invocare affinchè tutto questo si rallenti per aver tempo di dimenticare e
ricordare chi sono!"), deve "crescere indietro", scavare e
scavare e "ritrovare i suoi avi su pietre di tombe annerite"; un’oasi
di montagna (" come il Ciclope,l’Ibero
Sicano, io odio la piatta landa, mi attacco alle
falde di questa Montagna come un lattante al seno della madre, alla Collina
del Bisnonno").
Scava e scava, e la Montagna generosa gli dà
alfine la "prova" che cerca: un'antica moneta che raffigura un leone
in piedi davanti a una palma dattifera, con la legenda in lettere puniche
traducibile (guarda caso: nome e cognome!) in
SCHAMMACHANAT = Sicilia/Isola del Sole!
E' il segno del
destino, la rivelazione delle radici: Odisseo ha ritrovato la sua Isola, può
costruirvi la sua Casa, là alle falde del Mnte, dove ricevere Ciclopi, Elimi, Sicani,
Fenici, Greci, Arabi, Egiziani, e Dei e Ninfe, intrattenersi con essi, con
essi parlando il linguaggio dell'epos, e con
essi ricomporre e ripercorrere i sentieri del mito, che è storia.
Il giramondo è
giunto al termine del suo girovagare: ora il figlio del
Sole è l'uomo del Monte, il
guardiano del faro.
A sera, quando
la luna avrà girato l'angolo di casa, sciabolerà un fascio
di luce, luce blu in
cui turbina pulviscolo di
stelle, su Erice, e giù
da Segesta sulla pianura ondulata
dove sorge la fattoria di Falezio,
e poi su Scheria, sul
Malconsiglio, su
Asteride, su Same, su Zacinto
su Hiera, sù e giù tutta la notte, finchè "il Sole cambierà l'est in oro".