la poesia del dialetto
Telefonata da New York: Josephine Geluso, informata della pubblicazione di una sua poesia (ripresa da Arba Sicula) sul nostro periodico, in stretto dialetto siciliano tiene ad esprimere il suo ringraziamento, chiedendo di avere una copia del giornale. Seguono alcune email in dialetto e, infine, una toccante lettera -questa in inglese- che emblematicamente traccia la vita ed i sentimenti di una siculo-americana di seconda generazione. Il nonno di Josephine, da Caltabellotta (AG) emigrato negli Stati Uniti nel 1879, chiamò qui la famiglia quattro anni dopo. Josephine “fu cresciuta” dai nonni e, poiché questi non avevano imparato l’inglese, il solo mezzo di comunicazione con loro fu il dialetto siciliano. A 85 anni -questa la sua rispettabile età- Josephine -classe 1921- si rammarica che “qui non c’è nessuno con cui possa parlare ancora in Siciliano”; altro motivo di rammarico è dato dal fatto che conoscendo solo lo spelling fonetico i suoi scritti in siciliano rischiano di risultare poco comprensibili. Nessuna difficoltà di comunicazione, invece, con i cugini conosciuti negli ultimi anni nei suoi tre viaggi di dieci giorni ciascuno a Caltabellotta, nonostante la diversità di linguaggio rispetto a quello dei tempi del nonno (l’universalità del siciliano!). Josephine (ma chiamiamola pure Giuseppina! ), laureata in scienze e sportiva di buon livello, a 80 anni (!), traendo anche spunto dalle storie ascoltate dal nonno, ha cominciato a scrivere poesie nell’intento di “lasciare ai miei pronipoti qualcosa sulle loro radici siciliane…Esse contengono alcune storie della mia amata Sicilia”. Ne ha già scritto due raccolte ben accolte dalla critica ed una terza è prossima alla pubblicazione. Dopo A canzunedda di me nanna, ne ha tradotto in siciliano -e ce la dona- Sulu aieri, dedicata al fischietto (lu friscalettu) del nonno, un cimelio da lei religiosamente custodito.
Telefonata da New York: Josephine Geluso, informata della pubblicazione di una sua poesia (ripresa da Arba Sicula) sul nostro periodico, in stretto dialetto siciliano tiene ad esprimere il suo ringraziamento, chiedendo di avere una copia del giornale. Seguono alcune email in dialetto e, infine, una toccante lettera -questa in inglese- che emblematicamente traccia la vita ed i sentimenti di una siculo-americana di seconda generazione. Il nonno di Josephine, da Caltabellotta (AG) emigrato negli Stati Uniti nel 1879, chiamò qui la famiglia quattro anni dopo. Josephine “fu cresciuta” dai nonni e, poiché questi non avevano imparato l’inglese, il solo mezzo di comunicazione con loro fu il dialetto siciliano. A 85 anni -questa la sua rispettabile età- Josephine -classe 1921- si rammarica che “qui non c’è nessuno con cui possa parlare ancora in Siciliano”; altro motivo di rammarico è dato dal fatto che conoscendo solo lo spelling fonetico i suoi scritti in siciliano rischiano di risultare poco comprensibili. Nessuna difficoltà di comunicazione, invece, con i cugini conosciuti negli ultimi anni nei suoi tre viaggi di dieci giorni ciascuno a Caltabellotta, nonostante la diversità di linguaggio rispetto a quello dei tempi del nonno (l’universalità del siciliano!). Josephine (ma chiamiamola pure Giuseppina! ), laureata in scienze e sportiva di buon livello, a 80 anni (!), traendo anche spunto dalle storie ascoltate dal nonno, ha cominciato a scrivere poesie nell’intento di “lasciare ai miei pronipoti qualcosa sulle loro radici siciliane…Esse contengono alcune storie della mia amata Sicilia”. Ne ha già scritto due raccolte ben accolte dalla critica ed una terza è prossima alla pubblicazione. Dopo A canzunedda di me nanna, ne ha tradotto in siciliano -e ce la dona- Sulu aieri, dedicata al fischietto (lu friscalettu) del nonno, un cimelio da lei religiosamente custodito.
Cosa vuoi aggiungere ad una così genuina struggente dichiarazione d’amore?
Grandpa racconta…
A chi aveva “lasciato la propria casa per servire la Patria in armi”, fino a pochi decenni orsono, a conclusione dell’obbligata Messa domenicale era dato ascoltare la “preghiera del soldato”, rivolta al Signore Iddio che all’atto della creazione aveva “voluto distinta in molti popoli l’umana famiglia”.
Una famiglia …inquieta, questa, che tende a…mescolare le carte ignorando e aggirando gli steccati strumentalmente quanto arbitrariamente eretti in nome di questa presunta indicazione divina.
Turi Scordu, surfararu,
abitanti a Mazzarinu;
cu lu Trenu di lu suli
s’avvintura a lu distino
Ignazio Buttitta
Dove si nasce,
la terra prima o poi,
richiama gli uccelli
che volano per il mondo
Giacomo Luzzagni
E’ un fenomeno antico quanto l’umanità questo migrare altrove alla ricerca di pace e di un tozzo di pane, spinti da guerre, carestie, persecuzioni politiche e religiose. Per contro, nelle “cittadelle” verso cui sono indirizzati i flussi migratori si tendono ad enfatizzare - ed è cronaca quotidiana - gli squilibri di varia natura ed entità che indubbiamente comportano, ignorando però o trascurando nel contempo l’apporto di preziosa linfa vitale che l’inserimento di migranti, prevalentemente giovani, trasfonde nelle disseccate ghiandole mammarie delle opulente società di oggi.
Gli emigrati “interni” della mia generazione ricordano la comparsa nel nord del Paese di cartelli che vietavano l’ingresso a locali pubblici “ai cani e ai meridionali”. Un’esperienza, questa, che ci induce a guardare con occhio particolare ai risvolti “interiori” di questo “sradicamento” della pianticella umana dal suo habitat naturale, di indagare sui drammi quasi sempre ignorati che lo segnano, di soffermarci sul prezzo richiesto.
Rinnovando il travaglio di Odisseo, gusci di noce gravidi di trepidanti speranze intrecciano oscene danze di morte col procelloso mare-monstrum. Spesso, troppo spesso, l’anelito verso la “terra promessa” sfuma nel ghigno della disperazione e nel rigore della morte: è il tributo da versare alla cassa della diversità nel grembo dell’umana famiglia, principio immanente appena scalfito da roboanti quanto farisaiche declamazioni di fratellanza e solidarietà, più spesso recitate che sentite e praticate.
Sul corpo consunto di tanta parte dell’umanità affonda, scava e si accanisce il coltello dell’indifferenza e dell’egoismo, si celebra il respingimento di ogni senso di colpa o di dubbio con ciniche esplosioni di “gratificazione” impietosamente quanto beffardemente trionfalistiche.
In questo paesino di Sicilia, dove si rinnova l’annuale rito del ritorno alla “casa madre”, m’imbatto in un giovane dalla pelle scura (dono di natura, sia ben… chiaro, escluso l’intervento della lampada solare che aiuta i nostri vecchietti a combattere la fatua battaglia dell’apparenza), seduto assorto su un muretto di campagna: ne colgo lo sguardo trasognato, un raggio laser puntato oltre l’orizzonte. Se un giorno -un sogno!- potrà qui avere una famiglia, forse per la sua bimba evocherà sconfinati altipiani e intricate giungle, infocate distese desertiche interrotte da verdi oasi, grandi fiumi sacri e nobili animali, racconterà i colorati racconti di una terra lontana inframmezzandoli con fascinose danze della pioggia, richiamando i poteri taumaturgici dello stregone del suo villaggio, i magici miti, i colorati costumi e le usanze della sua precedente esperienza umana, e lo farà - anche facendo ricorso alla fantasia- con accenti ispirati che possano imprimere nell’animo di quella sua creatura “il marchio di origine”. E la bimba ascolterà avidamente incantata, nella solennità della “iniziazione” agli arcani riti di quella patria sconosciuta, per custodirne il senso nel più profondo della sua interiorità.
Ed è ciò che, a parti rovesciate, tanti anni fa è capitato alla nostra amica Giuseppina Geluso, figlia di emigrati da Caltabellotta negli States, dove nel bozzolo della cucina della modesta casa di Brooklyn riceve da Grandpa, il nonno, il battesimo della sicilianità, una fede cieca che le farà amare visceralmente e per sempre la Sicilia pur senza conoscerla.
A tarda età ha cominciato a scrivere poesie (rammaricandosi di essere costretta ad usare l’inglese, del siciliano conoscendo solo lo spelling fonetico) nell’intento di “lasciare ai pronipoti qualcosa sulle loro radici siciliane”: motivo conduttore il tenero ricordo di quell’uomo dai capelli d’argento, fascinoso affabulatore, che sotto una pergola di “racina muscatu” trae dal friscalettu, ricavato con le sue mani callose da una canna da zucchero, ammalianti melodie di quel posto là, oltre l’Oceano, la sua mecca, da cui era partito nel 1879.
A lui ha dedicato questo “bozzetto”, qui di seguito proposto ai nostri lettori, la cui traduzione in italiano e in siciliano è stata per lei motivo di particolare emozione: “It makes me feel like a little girl again sitting around the pot-belly stove captivated by Grandpa's colorful accounts of his life in Caltabellotta.... Grandpa must be very happy at having the stories he told me in his native language: (Mi fa sentire come una ragazzina nuovamente seduta intorno alla panciuta stufa, rapita dai coloriti racconti della sua vita a Caltabellotta di Grandpa…Grandpa sarebbe molto felice di avere nel linguaggio natio le storie che raccontava a me).
E, aggiungiamo noi, sarebbe ben orgoglioso del frutto germogliato da quel seme piantato tanti anni fa in terra straniera.
I was only four when the stories began,
narrated in the only language I knew,
musical dialect of CaltabeiIotta.
The pot-bellied stove
in our kitchen in Brooklyn
transformed the room into
a snug cocoon.
My curious eyes watched
Grandpa peel an orange
in an unbroken spiral,
put it on the stove;
sizzling balm of citrus
filled the space.
Grandpa, now in his chair,
content to know I was in my place,
closed his eyes and reached into the past,
told of a place soaked in sunlight,
where zucchini grew to titanic size,
groves of ebony olives and figs
sweetened the stili air,
vineyards of grapes
bore melon-sized clusters.
He painted pictures, this artist of words,
of vistas with fields of golden grain,
flaming poppies that spread to the sea,
where aqua water met azure heavens,
skies raven-black on moonless nights,
when one could touch a zambillion stars.
He talked of donkeys drawing bright, painted carts,
how the shepherd carne down
from the mountain each morning
with his herd of sheep, bringing milk for the day;
ewes milked at each door - into quartare of clay.
Youngsters stood yearning for a taste of this treat,
still warrn and fragrant with bubbles of froth.
He told, with an impish look on his face,
how he crawled through the catacombs,
a forbidden place,
damp and dark,
the danger great;
the thrill and excitement
were worth it, he claimed.
I know he was tickled by the awe on my face
my mind held captive by his voice.
in the ruins of the hermitage
overlooking the town,
where in ancient times
dragons ate little boys,
he scampered through
monk’s tunnels and cells
while howling winds
whistled round corners.
He glowed when he told
how he stole chunks of
bread
to dip in the olive oil
stored in huge crocks,
aromatic green liquid
carefully pressed,
a treasure
not to be squandered by
him.
His mother could tell
from the stains on his
sleeve
how far down he had
reached
into the jug,
an enticement he could
not resist,
though he knew he would
have to repent
with a few licks from
his father’s broad belt.
These tales of mischief
made Grandma frown,
but she could not stanch
the flow of words
cascading from his
vigorous mind:
a boy once more
in the mountains of Sicily .
Tales of traditions held
fast,
as told by landsmen from
centuries past,
the cycle not to be
broken by me,
but repeated for my
children
and their children too.
I promise myself that
someday
I’ll see Persephone’s isle
will wrap up his stories
and bring them along
to keep Grandpa walking
beside me.
Il cantastorie siciliano
Avevo quattro anni appena quando cominciarono
i racconti, narrati nella sola lingua che conoscevo,
il musicale dialetto di Caltabellotta.
La stufa panciuta
nella nostra cucina a Brooklyn
trasforma la stanza
in un confortevole bozzolo.
I miei occhi curiosi guardano
Grandpa sbucciare un’arancia
in un’ininterrotta spirale,
buttata sulla stufa:
sfrigolante profumo di agrumi
impregna l’aria.
Grandpa, ora seduto sulla sua sedia,
soddisfatto di sapermi al mio posto,
gli occhi chiusi proiettati nel passato,
parla di un posto immerso nella luce del sole,
dove crescono zucchine di misure gigantesche,
boschetti di olive nere come ebano e fichi
addolciscono l’aria quieta,
distese di vigneti reggono grappoli grandi come meloni.
Dipinge ritratti, questo artista della parola,
di viste con dorati campi di grano,
fiammanti papaveri disseminati fino al mare,
dove l’orizzonte incontra cieli azzurri,
cieli nerocorvini nelle notti senza luna,
quando si possono toccare fantastiliardi di stelle.
Parla di somari che tirano vivaci carri dipinti,
di come il pastore scende
dalla montagna ogni mattina
col suo gregge di pecore, portando il latte per la giornata;
pecore munte -porta a porta - in quartare di argilla.
Dei ragazzi si fermano vogliosi di un assaggio,
ancora caldo e fragrante con bollicine di schiuma
E racconta, con espressione birichina sul volto,
come si trascinò attraverso le catacombe,
un posto proibito,
umido e buio,
grande il pericolo;
il brivido e l’eccitazione erano palpabili, sottolinea.
Io so che è divertito per il terrore sul mio volto
la mia mente è prigioniera della sua voce.
Nelle rovine del romitorio
che guardano dall’alto il paese,
dove in tempi remoti
cattivi
draghi mangiavano i bambini,
egli se
l’era svignata attraverso gallerie
e celle
di monaci
mentre
venti ululanti fischiavano dietro gli angoli.
Arde
quando racconta
come
rubava grossi pezzi di pane
da
intingere nell’olio d’oliva
conservato
in grandi vasi,
aromatico
verde liquido
accuratamente
spremuto,
un
tesoro
che non
poteva sprecare.
Sua
madre avrebbe potuto dire
dalle
macchie sulla sua camicia
quanto
in basso era arrivato nell’anfora,
una
tentazione alla quale non poteva resistere,
sebbene
sapesse che avrebbe dovuto scontarla
con un
po’ di colpi dalla larga cinta di suo padre.
Queste
storie “cattive” facevano aggrottare le ciglia a Grandma,
ma lei
non riusciva ad arrestare il flusso di parole
una
cascata che veniva fuori dalla sua mente vigorosa:
un
ragazzo ancora una volta
nelle
montagne di Sicilia.
I
racconti delle tradizioni restavano fissi
come
narrate dai contadini dai secoli passati,
il
ciclo che non potevo essere io a spezzare,
ma da
ripetere ai miei figli
e anche
ai loro figli.
Ho
promesso a me stessa che un giorno
io
vedrò l’isola di Persefone.
Mi
avvolgerò le storie di Grandpa
e le
porterò dietro
per sentirlo camminare accanto a me
U cantastori sicilianu
Era nica di quattr’anni quannu cuminciaru
i cunti,cuntati nâ sula lingua ch’accanuscia:
a parlata, (na musica!), di Caltabellotta.
Cu dda stufa panzuta
ntâ cucina a Brooklyn
a stanza addiventa
n’aniru di paraddisu.
L’occhi mei, curiosi, talianu
Grandpa che munnannu n’arancia
câ scorza fa un nastru tutt’unu
e lu jecca supra a stufa:
svampa un profumu di zagara
chi jinchi tutta a cucina.
Grandpa, ora assittatu suprâ so seggia,
cuntentu di sapirimi ô me postu,
l’occhi chiusi persi ntô passatu,
parla d’un postu a moddu ntâ luce dû suli,
unni criscinu cucuzzi enormi
voscura di alivi niuri comu pici e ficu
chi fannu ruci l’aria ferma,
vigni a mai finiri portanu u pisu di rappuli rossi comu miluna.
Pitta ritratti, stu mastru dâ parola,
campi di frumentu d’oru a vista d’occhiu,
papparini russi fiammanti c’arrivanu finu a mari, unni l’acqua ‘ncontra celi cilesti,
celi niuri senza funnu nta li notti senza luna,
quannu poi tuccari cu manu un tiribbiliu di stiddi.
Parla di scecchi chi tiranu carretti pittati a festa,
di comu u picuraru scinni
di la montagna ogni matina
cu tutti i pecuri, purtannu u latti pâ jurnata;
pecuri munciuti - casa pi casa- nta quartari di crita.
Na pocu picciotti si fermano spinnati di un muccuni cauru
cauru, ciaurusu cu occhiceddi di scuma.
Pari ‘n diavulu maliziusu mentri cunta
comu travirsau i catacombi
nta un postu tintu,
umitu e scuru,
cu gran piriculu;
un trimulizzu comu frevi
si sintia nall’aria, iddu ‘ncarca.
Iò sacciu chi s’addiverti pû scantu pittatu nâ me facci:
a menti mia è prigionera dâ so vuci.
Nta li rovini di ddu postu
chi di supra talianu u paisi
unni ê tempi ri tempi
mammaddrau
tinti si manciavanu i picciriddi
iddu si
l’avia squagghiatu pi gallerii
e celli
di monaci
mentri
u ventu friscava di tutt’î banni.
E’
addumatu quannu cunta
comu
arrubbava rossi tozzi di pani
p’ammugghiarili
nall’ogghiu d’aliva
sarvatu
nta granni giarri,
prufumatu
virdi liquidu
sprimutu
cu cura,
un
tesoru
chi nun
putia spardari.
So
matri avissi pututu riri,
taliannu
li macchi da so cammisa,
finu a
unni avia arrivatu nto vasciu ntâ giara,
na
tintazioni chi nun putia risistiri ,
puru si
sapia chi l’avia a pagari cara
cu na
pocu d’allisciati dâ cinga di so patri.
Sti
storii tinti facianu arricciari a
frunti di Grandma
ma idda
un c’arriniscia a firmari stu ciumi di paroli,
na cascata
chi vinia fora da so forti mirudda:
nautra
vota picciottu
nta li
muntagni di Sicilia.
I cunta
di li usanzi antichi arristavanu i stessi
comu li
cuntavanu i viddani di li seculi passati,
u giru
chi iò nun putia rumpiri,
l’avia
a ripetiri ê me’ figghi
e puru
ê figghi di me’ figghi.
Prumisi
rintra di mia chi un jornu
iò viu
l’isula di Persefuni.
Mi
agghiumminiu ntê cunti di Grandpa
e mi li
portu appressu
pi
sentilu chi camina a ciancu di mia.
^^^2.-Memories served here^^^
moved from Manhattan
to a new apartment
n a new house
on a new street in Brooklyn
The eat-in kitchen sparkled with tile
porcelain sink boasted two basins
refrigerator wore a crown of coils
stove sported a built-in oven
Surrounded by newness
sat a humble possession
an enamel top table
not left behind
The hub of our every day doings
desk for homework
dressmaking center
space for The Times
Conference room when one was needed
report cards reviewed
colleges chosen colleges
weddings planned
The enamel top table
now eighty-nine
holds a special place
in my basement
no longer shiny
no longer used
No one dare touch that chipped treasure
all that’s left is t
old table
old me
and memories of a rare love
shared by
Mama, Papa, Mil and me
Qui si servono memorie
Mamma, Papà, mia sorella ed io
ci trasferimmo da Manhattam
a un nuovo appartamento
in una nuova casa
in una nuova strada a Brooklyn
Le mattonelle della cucina-pranzo scintillavano
un lavello di porcellana vantava due conche
un frigorifero mostrava una corona di serpentine
un forno incassato faceva bella mostra di se
Circondati dalla novità
sedevamo a un modesto bene
una tavola col piano smaltato
non lasciata indietro
Il cuore delle nostre faccende quotidiane
scrivania per i compiti
centro confezioni di vestiti
posto per il Times
“Sala conferenze” quando occorreva
discussione delle pagelle
collegi scelti
matrimoni progettati
La tavola col piano smaltato
ora ottantanovenne
occupa un posto speciale
nel mio scantinato
non più lucida
non più usata
Nessuno osi toccare quel tesoro sbeccato
tutto ciò ch’è rimasto
vecchia tavola
vecchia me
e le memorie di un amore raro
condiviso
Mamma, Papà, Mil ed io
Ccà si servinu cosi di cori
U Papà, a Mamà, me soru e gghiò
sturnamu di Manhattan
nta un novu quartinu
nta un novu frabbicatu
nta na nova strata a Brucculinu
I maruna da cucina-cammara di manciari lucìanu
un lavaturi di petra cu du’ conchi
un frigorifiru cu na curuna di sirpintini
un furnu ncasciatu a muru
Cunfusi nta sti cosi novi
n’assittavamu nturnu a un beni di nenti
na tavula cû supra pittatu
chi unn’aviamu vulutu lassari
Ccà si spirugghiavanu i cosi di casa
scagnu pi fari i còmpiti
centru pi cùsiri vistita
postu pi lèggiri u giurnali
Sala-macararu pi parlari
di paggelli chi purtàvamu
scelti di scoli auti unni jiri
fari calculi di matrimonî
A tavula cû supra pittatu
ora avi 89 anni
avi un postu spiciali
nô ripostu sutta a scala
‘unn’è chiù lucida
‘un servi chiù a nuddu
Nuddu però s’arrisicassi a tuccari stu trisoru smuzzicatu
arristau sulu chissu
vecchia a tavula
vecchia puru iò
e i ricordi d’un’amuri raru
pi na parti e l’autra
A Mamà, u Papà, Carmilina e gghiò
^^^3.-Eagle ^^^
as you glide
with grace
ride the winds
with balletic ease
I would take your place
in the uncluttered blue
soar over the Appalchians
rise over the Rockies
float over the Cascades
I would fathom
secretes of
pristine mountains
deep green forests
white sandy shores
Follow shadows
that lose themselves
in the sunset
swoop over a buffalo herd
air sharp and crisp
see their misty breath
find where the glory arc
begins and ends
Aquila
Io guardo con invidia
come scivoli
con grazia
cavalcare i venti
con danzante disinvoltura
Vorrei prendere il tuo posto
nel blu sgombro
in alto sugli Appalachi
librarmi sulle Montagne Rocciose
galleggiare sulle Cascades
Vorrei penetrare
i segreti delle
originarie montagne
vaste verdi foreste
spiagge di bianca sabbia
Seguire ombre
smarrite
al tramonto
piombare su una mandria di bisonti
aria tagliente e frizzante
vedere il loro brumoso respiro
trovare dove l’arco di gloria
comincia e finisce
Acula
comu sciddichi
cu grazia
a cavaddu dî venti
abballannu sciòta
Vulissi pigghiari u to postu
nto celu pulitu
auta supra i muntagni Appalachi
svulazzari supra i Muntagni Rocciosi
natàri nte Cascades
Vulissi spirtusari
i secreti dî
muntagni dâ notti di tempi
furesti ‘mmensi tutti virdi
spiaggi di rina bianca
Assicutàri ùmmira
persi
â cuddata dû suli
scattiàri supra na mandra di bufali
aria chi tagghia e frii
viriri u ciàtu nigghiusu di sti bestî
attruvari unni l’arcu dâ gloria
accumincia e finisci
^^^4.-Docking of The Mendoza^^^
as told to me by Papa
she walked
down the gangplank
a long stemmed rose
her auburn hair
dared the sun sparkle
I fell in love with
her ‘carrot head’
in a spectacular second
I gaped at the glow
of pale ivory skin
pert sculptured nose
speckled green eyes
she ran to her sister
shared
an eager embrace
the years apart drowned
in mingled tears
I escorted her family
to meet The Mendoza
she blushed
when I spoke
I tried not to stare
waited two years
her family consented
Lucia
eighteen
when we married
on a drizzly
November 21, 1915
L’attracco del Mendoza
come me lo raccontò Papà
lei scendeva
la passerella
una rosa dal lungo gambo
i suoi capelli castano dorato
sfidavano lo
sfavillio del sole
m’innamorai della
sua “testa di
carota”
in un fantastico
secondo
guardavo a bocca
aperta lo splendore
della pelle di
pallido avorio
l’impertinente scultura del naso
gli occhi
picchiettati di verde
lei corse da sua
sorella
per condividere
un impaziente
abbraccio
dopo tanti anni si
sciolsero
in mescolate
lagrime
Avevo accompagnato la sua famiglia
per incontrare il
Mendoza
arrossiva
mentre parlavo
io cercavo di non fissarla
aspettammo due
anni
la sua famiglia
acconsentì
Lucia
diciottenne
quando ci sposammo
in un piovigginoso
21 Novembre 1915
L’arrivu dû vapuri Mendoza
comu mu cuntau u
Papà
idda scinnia
a scala du vapuri
na rosa cû stelu
longu
i so’ capiddi
castagnu oru
sbiddiavanu comu i
raggi dû suli
mi ‘nnamurai dâ
so testa di carota
nta un vidiri e
svidiri
taliava a vucca
aperta lu splinnùri
dâ so peddi d’avoriu
‘mpertinenti a
linia dû nasu
l’occhi puntiàti
di virdi
idda currìu ni so
soru
pi strìncirisi
nta n’abbrazzu
strittu
doppu tant’anni
spartuti
s’ammiscaru
lacrimi di gioia
Iò avia
accumpagnatu a so famigghia
pi l’arrivu dû
vapùri
idda arrussiava
quannu ià parlava
e circava di ‘un
talialla
ni tuccau aspittari du’ anni
a so famigghia
rissi di sì
Lucia
dicirott’anni
quannu ni maritàmu
nta n’allamicàtu
21 Nuvemmàru 1915
^^^5.-The Old Garlic Lady^^^
escape from her
tightly wound bun
framing her
sun-wrinkled face
a phantom vision
small and stooped
long black dress
brushes stout black shoes
her steps short but steady
tour narrow streets
a mobile market
in her Sicilian hamlet
braided garlands
of paper-white garlic
slung over her shoulder
she calls “agghiu, agghiu”
a tuneless lyric
housewives
come to their doors
eager for her
homegrown herb
the intricate garlands
are hung close at hand
for discerning cooks
prominent ornaments
in their luscious domains
with tropical sun high
the old garlic lady
retraces her steps
to her patch of land
settles at her bench
weaves new ropes
for tomorrow
la vecchia dedgli agli
ciocche di bianchi capelli
sfuggenti
dalla crocchia ben tirata
coronano la faccia
raggrinzita dal sole
un'immagine di famtasma
piccola e piegata in due
la veste nera, lunga
che strofina nere scarpacce
passi brevi ma fermi
va in giro per vicoli
casa per casa
nel piccolo villaggio siciliano
ghirlande intrecciate
di agli bianchi come carta
buttate sulla spalla
...agli!!!, agli!!!
uno scordato ritornello
le massaie
aspettano davanti casa
cercando
erbaggi nostrani
le ghirlande intrecciate
soppesate in mano
per cuochi esigenti,
vistosi festoni
nelle loro dimore di regina;
col sole a picco
la vecchia degli agli
rriporta i suoi passi
al suo campicello
siede al suo banco
e prepara trecce nuove
per domani-
coronano la faccia
raggrinzita dal sole
un'immagine di famtasma
piccola e piegata in due
la veste nera, lunga
che strofina nere scarpacce
passi brevi ma fermi
va in giro per vicoli
casa per casa
nel piccolo villaggio siciliano
ghirlande intrecciate
di agli bianchi come carta
buttate sulla spalla
...agli!!!, agli!!!
uno scordato ritornello
le massaie
aspettano davanti casa
cercando
erbaggi nostrani
le ghirlande intrecciate
soppesate in mano
per cuochi esigenti,
vistosi festoni
nelle loro dimore di regina;
col sole a picco
la vecchia degli agli
rriporta i suoi passi
al suo campicello
siede al suo banco
e prepara trecce nuove
per domani-
A vecchia di l’agghi
ciocchi di capiddi bianchi
scappati dû tuppu
tiratu fermu
curunanu a facci
arrappata dû suli
na vista di fantasima
curta e stuccata ‘ndui
câ vesti niura, longa
chi scupittìa niuri scarpazzi
passi curti ma fermi
gira vaneddi vaneddi
vinnennu casa pi casa
nnô so paisi sicilianu
ghirlandi ntrizzati
d’agghi bianchi comu a carta
apparicchiati supra a spadda
“agghi agghi”
na canzunetta scurdata
fimmini di casa
aspettanu davanti a porta
circannu
erbaggiu nustranu
i ghirlandi ntrizzati
tastati ca manu
pi cochi valenti
sfrazzusi fistuna
ntê so' casi di riggina;
ccû suli a picu
a vecchia di l’agghi
passu passu s’arricampa
ô so locu
s’assetta ô so vancu
e pripara trizzi novi
pi dumani
^^^6.-Ten Thousand Poppies^^^
he left sapphire blue
of Sicilian sky
peacock palette
of Mediterranean
fields of poppies
ran down towards the sea
ten thousand blooms
of blazing red
rolled in swells
of soft tropic breezes
his tales beckoned me
to his isle
across the great ocean
a world unlike mine
the fields I found
the poppies gone
ten thousand wildflowers
run down towards the sea
transfixed I gazed
at flowering fields
a young boy
romped in childish joy
my father’s abandon
as he danced among
ten thousand poppies
Diecimila papaveri
Quando, appena un bambino,
lasciò il blu zaffiro
del cielo di Sicilia
variopinta tavolozza
del Mediterraneo
campi di papaveri
scorrevano verso il mare,
diecimila fiori
di fiammeggiante rosso
riversati nel gonfiore
di morbide brezze tropicali
le sue storie mi chiamarono
alla sua isola
attraverso il grande oceano,
un mondo diverso dal mio
i campi che trovai,
i papaveri perduti,
diecimila fiori selvatici
scorrevano verso il mare
pietrificata, guardai
verso campi fioriti,
un ragazzetto
ruzzava in fanciullesca letizia:
l’abbandonarsi di mio padre
mentre danzava
fra diecimila papaveri
Decimila paparini
Quannu, era un picciriddu,
lassau u blu zaffiru
dû celu sicilianu,
tavulozza di milli culura
dû mari nostru Miditirraniu;
tappita di paparini
arruzzuliavanu a mari,
decimila ciuri
di russu focu
sdivacati nto ‘nsaccu
di rizzatura di ventu ‘ntra mari;
i storî chi cuntava mi chiamaru
all’isula chi lu vitti nasciri
navicannu pi lu mari ‘nfinitu,
nautru munnu pi mia;
i campìa c’attruvai,
i paparini oramai persi,
versu u mari ora currianu
decimila ciuri sarvaggi;
alluccuta, taliai
nto ‘nmari di campìa ciuruti
un picciutteddu
pazzu di gioia:
l’abbannunarisi di me patri
mentr’abballava
‘nmezzû decimila paparini.
^^^7.-Land of My Fathers^^^
Land of My Fathers
small village
clings to a slope
of rugged spur
at the tip of the boot
stone streets so narrow
car and mule
can barely pass
wrought iron balconies
display miniature gardens
peppermint geraniums in
terra-cotta tubs
pearly gardenia
in majolica pots
clothes lines strong
house to house
white linens flap
frightened doves
in the wind
roving farmer’s market
awaited on Wednesdays
time for fiery barter
tasty gossip
skinned rabbits hang
in butcher stall
covered by a hundred flies
visiting from Roma
sharp, musky smell of
great wheels of parmigiano
colorful beach towels
bear nude beauties
tantalizing smiles beckon
young boys pass by
shyly peek
women scoff
glance in contempt
brazen old men
stop and stare
Sicilian tradition
flavored with
modern mind-set
in Caltabellotta
La terra dei miei padri
un piccolo
villaggio
s’abbarbica a
un pendio
di uno
scosceso sperone
alla punta
dello stivale
strade
acciottolate così strette
che carretto e mulo
possono appena
passare
balconi di
ferro battuto
mostrano giardini in miniatura
menta e gerani
in vasi di
terracotta
perlacee
gardenie
in pentole di
maiolica
corde da
bucato stese
da casa a casa
bianchi panni
sbattono
-spaurite
palombelle-
al vento
il mercato itinerante dei
contadini
atteso il mercoledì
momento per infuocati scambi
e gustose chiacchierate
conigli spellati appesi
al banco del macellaio
coperti da cento mosche
in visita da Roma
acuto, muschiato profumo
da grandi ruote di parmigiano
vivaci asciugamani da spiaggia
reggono nude bellezze
invitano allettanti sorrisi
giovanotti passano
…timidi sguardi
le donne sbeffeggiano,
sguardi di dispregio,
sfacciati vecchi
si fermano e fissano
la tradizione siciliana
prende sapore
dal moderno pensare
a Caltabellotta
A terra di me’ nanni
Un paisi nicu
si rarica a nu pinninu
d’un spirùni sdirrupatu
‘npunta du stivali
trazzeri stritti
chi carrettu e mulu
ci passanu pi forza
finistruna di ferru battutu
ammùstranu jardineddi
menta e girani
nta grasti di crita
gardenî comu perli
nta pignàti di majolica
cordi pi stènniri
di na casa all’autra
robi bianchi stinnuti sbattinu
-palummeddi scantati-
ô ventu
u mircatu ‘nchiazza di viddani
chi veni ogni mèrcuri
abbannianu cosi spiciali
e ’npocu di… tagghia e cusi
cunigghia spiddati appizzati
nta putìa du ucceri
niuri pi centu muschi
vinuti apposta di Roma
ciauru di muschiu nte naschi
‘nturnu a granni roti di parmigianu
sgargianti tuvagghi pû mari
carizzanu biddizzi nuri
ammìtanu maliziusi surrisi
picciotti passanu drittu
smirciannu affruntusi
i fimmini mussìanu
taliàti storti
vecchi sfacciati
si fermanu e talìanu
u custumi sicilianu
pigghia sapuri
cû pinzari modernu
a Caltabellotta
^^^8.-Scula Pasta^^^
shiny white
mama used it
a few chips
now my turn
a few more nicks
shiny stainless steel
replaced it
throw it away?
can’t do it
how many dishes
of pasta did it drain?
how many
family dinners
did it serve?
now hangs
above the
kitchen sink
a treasured antique
each chip
a memory
Lo scolapasta
Lo usava la nonna
bianco scintillante
l’ha usato la mamma
un poco sbocconcellato
ora è il mio turno
ancora un po’ più consumato
uno di acciaio inossidabile
l’ha rimpiazzato
lo debbo buttare?!
non posso farlo!
quanti piatti
di pasta scolò?
a quanti
pranzi di famiglia
servì?
ora è appeso
sopra il
secchiaio della cucina
un tesoro antico
ogni sbocconcellatura
un ricordo
U sculapasta
L’adupirava me nanna
beddu scintillanti
l’adupirava a mamà
un pocu scucciatu
ora è u me turnu
un pocu cchiù sfardatu
unu d’azzaru ‘nossidabbili
pigghiau u so posto
chi fazzu? l’aiu a jittari?!
‘unnu pozzu fari!
quantu piatta
di pasta sculau?
pi quantu
pranzi di famigghia
sirviu?
ora è appizzatu
supra
u lavatoriu dâ cucina
‘ntisoru anticu:
ogni scucciatina
un ricordu
a lon ago yesterday
a young navy ensign
called her
his "Hellcat"
her feisty spirit
stirred
his sober demeanor
as the Hellcat Fighter
did in the sky
he married
his Hellcat
championed her ventures
a young navy ensign
called her
his "Hellcat"
her feisty spirit
stirred
his sober demeanor
as the Hellcat Fighter
did in the sky
he married
his Hellcat
championed her ventures
indulged her running
when the rest of the world walked
there were speaking tours
fundraising events
a teaching career
an impetuous dare
in the world of poetry
patina of age
softened her vivacity
her quest for adventures
has not faded
Hellcat (Il gatto-diavolo)
Molto tempo fa
un giovane guardiamarina
la chiamò
la sua “Gatto-diavolo”
il suo spirito esuberante
stimolava
il suo temperamento moderato
come il caccia Hellcat
faceva nel cielo
egli sposò
il suo Hellcat
si batteva per le sue fortune
assecondava il suo correre
quando il resto del mondo camminava
c’erano i giri di conferenze
le occasioni di raccolta fondi
una carriera d’insegnante
un impetuoso irrompere
nel mondo della poesia
la patina dell’età
mitigava la vivacità di lei
ma la sua ricerca di avventure
non è affievolita
Hellcat ( U attu-diavulu)
Tantu tempu fa
un beddu picciottu uffiziali di marina
‘a chiamau
a so “attu-diavulu”
u so “diavulu ‘ncorpu”
puncìa
u so carattiri quietu
comu l’airuplanu Hellcat
facìa ‘ncelu
iddu si maritau
câ so Hellcat
cummattìa pî so’ cosi
c’jia appressu na’ so cursa
mentri u munnu caminava
c’eranu i giri di cunfirènzi
c’era d’accogghiri picciuli
una strata d’insignanti
un trasiri furiusa, di corpu,
nto munnu dâ puisìa
a patina di l’età
c’ammansava l’ali
ma u so jiri ‘ncerca d’avvinturi
è sempri chiddu
^^^10.-How Did It Happen^^^
yesterday I was me
today me is gone
the tail of the
comet I rode
is spent
once I sifted
through the grab
bag of life
embraced my dues
with few objections
danced to the
lively music
of youth
shed sad tears
in the refuge of my
soul
my flesh honors
the December years
my mind rejects
them
with unrivaled
disdain
when the light
wanes
in that radiant
sunset
I will chase the
wind
in joyous abandon
I will look for my
comet
come è accaduto
ieri
io ero me stessa
oggi
il mio io se n’è andato
la
coda della cometa che cavalcavo
s’è
spenta
una
volta riuscivo a guardare
nello
scrigno della vita
mi
caricavo i debiti
con
poche obiezioni
danzavo
al ritmo della vivace musica
della
gioventù
pianto
amaro versavo
nel
rifugio della mia anima
la
mia carne s’arrende
agli
anni del dicembre
la
mia mente li respinge
con
impareggiabile disdegno
quando
calano le luci
in
quel radioso tramonto
cavalcherò
il vento
in
gioioso abbandono
in
cerca della mia cometa
comu fu
Aeri
iò era iò
stjornu
u me iò s’jinniu:
a
cura dâ cumeta
s’astutau
Na
vota arriniscìa a taliàri
dintra
â scatola dâ vita,
mi
carricava i debbiti
senza
tantu pipitiàri
abballava
ô passu dâ musica
dâ
picciuttanza
chiantu
amaru culava
nta
burnìa di l’anima mia
A me
carni s’arrenni
all’anni
di lu ‘nvernu
u
ciriveddu li caccia
tuttu
sdignusu
Quannu
calanu i luci
â
cuddata du suli,
ô
ventu
cu
alligrizza m’abbannunu
pi
circari a me cumeta
^^^11.-That's Life^^^
the house grows bigger
I grow old
memory grows dimmer
I grow old
life’s tide receding
at times my mind is crispy clear
at times it decides to relax
at times my psyche dwells in paradise
at times it goes to hell
some days I’m an eagle in flight
some days I’m a wingless bird
some days I’m Clarabell the clown
some days I play il pagliaccio
I’m up – I’m down
I’m under – I’m out
I’m here – I’m there
I'll take it
Questa è la vita
Mi faccio vecchia
e la casa diventa più grande
Mi faccio vecchia
e la memoria diventa più fioca
Mi faccio vecchia
e il tempo della vita declina
A volte la mente è limpida
a volte decide di allentarsi
A volte l’animo dimora in paradiso
a volte precipita all’inferno
Alcuni giorni sono aquila in volo
altri giorni uccello senza ali
Alcuni giorni sono Clarabella
altri giorni faccio il pagliaccio
Sono sù – sono giù
sono sotto – sono fuori
sono qui - sono lì
Comunque…
Chista è a vita
Mi fazzu vecchia
e a casa addiventa cchiù ranni
Mi fazzu vecchia
e a mimoria addiventa cchiù fracca
Mi fazzu vecchia
e u tempu dâ vita s’arrunchia
A li voti a mirudda è tisa
autri voti ci veni d’allintarisi
A li voti mi sentu ‘npararìsu
autri voti mi capuzzu na lu ‘nfernu
Certi jorna sugnu acula chi vola
autri jorna aceddu senza ali
Certi jorna sugnu Clarabella
autri jorna fazzu u pagghiazzu
Sugnu susu – sugnu jusu
sugnu sutta – sugnu fora
sugnu ccà – sugnu ddà
C’aiu a fari?! Mi l’â pigghiari…
^^^12.-Only Yesterday^^^
of sweet muscat grape
face turned upward
Grandpa plays
a melancholy tune
on his Sicilian folk flute
strains of a lonely shepherd
beams of sunlight
pry through the lattice
brush snow-white hair
streak it silver
calloused hands
gently move over
his treasured friscaleuttu
carved from sugar cane
by his grandfather
he is once again a boy
in Sicily
my little girl legs
climb beside him
on the wooden bench
rest my head
against his shoulder
wish the music to
go on forever
now I hold the flute
lovingly in my hand
wasn’t it only yesterday
that I sat and listened
to that unadorned melody
and wished it would never
end?
Giusto ieri
Sotto una pergola
di uva moscato dolce,
la faccia rivolta in su,
Il Nonno suona
una melodia melanconica
sul suo flauto siciliano,
fatiche di un pastore solitario
Raggi di luce solare
si affacciano dal graticcio
pettinano i capelli candidi,
pennellate d’argento;
mani callose
delicatamente si muovono
sul suo prezioso friscalettu
intagliato da una canna da
zucchero
avuto dal nonno:
torna ad essere un bambino
In Sicilia.
Le mie gambe di bimba
si arrampicano al suo fianco
sulla panca di legno,
la mia testa si appoggia
alla sua spalla,
desidero che la musica
non si fermi mai.
Ora tengo io in mano
con amore quel flauto:
non era giusto ieri
che mi sedevo e ascoltavo
quella melodia disadorna
e desideravo che non finisse mai?
Sulu Aieri
sutta na preula
di racina muscatu
nfacci lu celu
Nannu sona
‘na malincunica miludìa
no’ so friscalettu sicilianu
d’un sulitariu picuraru
raggi di suli
‘nmezzu lì vigni
carizzanu bianchi capiddi
li pittanu d’argentu
mani caddusi
si movinu gintili
supra lu so priziusu friscalettu
‘ntagghiatu nta na canna di
zuccaru
c’appi di so nannu
e iddu s’attrova arré picciottu
‘nSicilia
I me ammi di picciridda
acchiananu vicinu a iddu
supra u vancu di lignu
m’apposu la testa
a la so spadda
vulissi câ musica
un finissi mai
ora tegnu u friscalettu
cu amuri nâ me manu
ma… un fu sulu aeri
ch’eru assittata e ascutava
sta simplici miludìa
e vulia ca nun finissi mai?
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