Estate 1986 – Lido di San Giuliano - Trapani
Aprendomi un varco fra bagnanti di ambo i
sessi beatamente
conviventi con barattoli vuoti di Coca-cola e altro (bibite,cartacce
e residuati vari, rigogliosi
cespugli amorevolmente piantati e coltivati
da infaticabili seminatori,
elementi paesaggistici
tutelati e conservati da provvidi e attenti gestori) pianto trionfalmente la mia sediolina pieghevole
su un'isoìetta di sabbia apparentemente incolta, per offrirmi,
dopo tanti mesi, spirito
e corpo, ai raggi rigeneratori
del sole di casa mia.
Ma ben presto, sollecitato
anche dall'incalzante vigilanza della mia devota sposa (un'ora,
come
prima esposizione, è già troppo!), mi riparo sotto l'ombrellone
ad evitare fastidiosi guai (precisiamo
noie solari, e
non guai coniugali come qualche distratto
lettore potrebbe frettolosamente
e malignamente dedurre dal
contiguo accenno al servizio di ..vigilanza): è
l'ora delle
letture, ultimo rifugio balneare per le persone di
una "certa" età, alle quali non è concesso
- e questa volta i guai sarebbero di
matrice domestica- di spaziare con lo sguardo sulle conturbanti grazie di femmine nubili
e maritate, generosamente
offerte, più che
ai raggi del sole, a peccaminosi blitz di occhi sitibondi e famelici.
Ecco, in borsa ho
i due volumetti, con dedica, che Nina Scammacca, la Ninfa
Egeria del
leader dell’Antigruppo, ha
voluto offrire all'amico degli anni verdi, che
sa interessato alle
cose di
casa nostra.
Perchè di
cose nostre si parla,
cose di
un ieri remoto
che attinge al mito, cui riannodare, filo per filo, l'ordito dell'oggi
e tessere in
esso la trama
del domani.
Il primo (col testo
inglese e la traduzione italiana: curata da
Nina e
Nat Scammacca
) s' intitola: The Sicilian origin of the ''Odyssey"
di L.G.Pocock; l'altro:
“Scammacchanat” , ovviamente di Nat Scammacca, ugualmente
con testo bilingue.
Le mie scarse e sempre più evanescenti rimembranze scolastiche
(e
quel che è venuto
dopo) non mi danno certo titolo
e ardire per inoltrarmi in un’analisi critica che possa configurare una
“recensione” in senso tecnico dei lavoro di Pocock (di Scammacchanat parleremo a parte), uno studioso
neozelandese (!) che si è voluto occupare di cose
di casa
nostra.
Quello che vorrei tentare di esprimere sono invece
e soltanto le
sensazioni ricavate dalla lettura dei libri proprio in quel
luogo
(lo "scenario-osservatorio" di San Giuliano),
nell’abbacinante dardeggiare del sole d'estate, seguita da
una rilettura più attenta fra le pareti domestiche e completata con
la febbrile
consultazione di altri due lavori, fondamentali in materia, pescati
alla Biblioteca Nazionale di Firenze ("L'autrice dell'Odissea" di Samuel Butler
e "L'Odissea
rivelata" di Vincenzo Barrabini).
La
teoria di Pocock prende le mosse da Samuel Butler, un eclettico personaggio
inglese del secolo scorso, filosofo, novellista, scienziato, musico e pittore che,
nel 1897, pubblica "L'autrice dell'Odissea": un'affascinante sinopia di
luoghi, tempo, origine
del poema e
personalità dell'autore, che "lancia" una
teoria, basata più
su un modulo
intuitivo che su approfonditi riscontri e verifiche, ma
non per
questo meno
meritoria, secondo la quale
- molti dei luoghi descritti nell'odissea corrispondono a Trapani
e dintorni
- l'autore
dell'Odissea doveva conoscere profondamente quei posti ed essere quindi
trapanese(una donna trapanese:Nausica!).
La teoria, osteggiata col silenzio, e si può capire,
dal mondo
accademico internazionale interessato a
"conservare" i suoi assiomi sulla questione omerica, incontrò
addirittura 1'ostilità (e ti pareva!) della
cultura trapanese di allora (rappresentata, se non ho capito male, dal Canonico Fortunato Mondello sul giornale
locale "Il Lambruschini" ).
Passano alcuni decentri finché, incaricato di una conferenza sulla rivoluzionaria teoria di
Samuel Butler,
il professor Pocock ritiene indispensabile documentarsi prima
sul posto
e viene (siamo nel 1952) in
Sicilia per raccogliere, Odissea alla mano, prove
geografiche e
topografiche atte
a convalidare
l'intuizione di Butler.
(A co:nfermare
l'attenzione
e la lungimiranza
della cultura nostrana, basterà precisare che l'opera
di Butler, che è del 1897,
fu tradotta in italiano soltanto nel 1968, per iniziativa personale dell’ericino Professor Antonino Di Stefano
risalente al 1957 sulla scia dei risultati dell'indagine di Pocock!)
(Parentesi nella parentesi, è
stata per
me un'emozionante sorpresa apprendere che autore della
traduzione è
stato Giuseppe
Barrabini, mio professore d'inglese negli anni ginnasiali).
Forte di un'approfondita conoscenza di tutte le fonti
storiche
disponibili, poste a verifica e confronto critico, padrone
del lessico
e della filologia, diligente e
acuto ricognitore
delle isole e dei luoghi mediterranei teatro della vicenda
omerica, ben "imbeccato"
da Butler, Pocock sottopone il testo omerico a
vivisezione -parola per parola e luogo per luogo-, in una
serrata
sequenza di perentorie argomentazioni logiche,
inframmezzata di rapide "incursioni" di sapore psicologico
nella mentalità, nei metodi e nella personalità del
poeta, e in ogni
reperto trova riscontri per affermare senza ombra di
dubbio il suo affascinante "credo"
(la sua
non è una "tesi", una enunciazione cioè che richieda di
essere dimostrata,
ma
un assioma).
E così, Trapani, la falce di Demetra, diventa Scheria "chiusa da mura", la
terra dei Feaci; a San Cusumano (Cosma e Damiano) è
approdato
Odisseo, sottratto alfine a.lle
inesauribili brame
dell'ardente Calipso; la zona circostante è
il luogo
dell’incontro con la dolce Nausica; e lo scoglio del Malconsiglio, appena
fuori Torre Ligny,
non può che essere l’imbarcazione dei Feaci pietrificata
da Poseidone al ritorno
dall'aver accompagnato Odisseo nella sua Itaca
("che pietra fece diventare e radicò nel fondo");
la presenza
del Monte Erice
avvalora la minaccia di Poseidone di scaraventarlo a seppellire
la città posta ai suoi piedi (minaccia fortunatamente rimasta...
finora tale,
ma che possiamo immaginare all'origine del millenario
antagonismo fra
Feaci e
Ciclopi , fra Feaci ed Elimi, fra Trapanesi ed Ericini!); ancora nella montagna di Erice,
sul versante di Pizzolungo
si apre l'antro
di Polifemo,
che sfoga le.
sua ira scagliando
in mare su Odisseo in fuga giganteschi massi (lo scoglio degli
Asinelli e le rocce Porcelli); l'isola
di Circe (Eea) è Ustica; le isole
Planctae
naturalmente
sono le Eolie...e così via, scorazzando per tutto
il Mediterraneo
occidentale.
Ma
c'è di più! Trapani è sì Scheria, ma nello stesso tempo,
descrivendola da diverse angolazioni e con particolari diversi per
differenti episodi, Trapani è anche Itaca!
Semplice! Omero (Nausica, marinaio
trapanese o
chi altri mai?),
non conoscendo
direttamente lo scenario ionico, ma avendo una personale familiarità con lo
scenario di
Drepanon, ne
usa gli aspetti
per descrivere Itaca, così come poco prima aveva fatto per Scheria: è una necessità "tecnica", oltre che un atto di
omaggio nei
confronti della propria terra, per conferire concretezza alla descrizione dei luoghi,
ma è anche una sorta di gioco, come quello che da bambini ci
faceva adattare
il piccolo giardino di
casa di volta
in volta, secondo il tema proposto, a fortino, aereo da
combattimento, nave
corazzata,
bosco, bottega, studio medico e così via.
Demolite -carte topografiche alla mano- le
teorie
"ioniche" finora accreditate sulla collocazione di
Itaca, San
Cusumano (già terra dei Feaci) diventa ora il
porto di
Forchis o di
Reitro sotto il
Neio boscoso (che
sarebbe Erice) e
la zona dove
viveva Laerte, senza trascurare le vicine caverne che
hanno visto gli
amori di ninfe e
dei; il Colle
di Ermes, dio dei ladri, è quello di Sant'Anna (secondo il
Barrabini è invece il
colle(!) di
Casa Santa) sopra "u passu 'latri"; Same
ionica è Favignana (Aegusa,
l’isola delle Capre), Zacinto è Levanzo, Marettimo viene
utilizzato per riprendere Itaca "in
esterni”; Asteride è l'isolotto di Formica (basti guardare alla sua forma di asterisco); le Isole
Veloci corrispondono agli Scogli Porcelli, Dulìchio s'identifica con l’Isola lunga.
E quante notazioni ,
quante osservazioni, quanto "studio", ma insieme quanto calore "mediterraneo"
in un lavoro scientifico, che man mano avvince il lettore anche più
"freddo" e meno vicino agli episodi e personaggi della mitologia classica,
per assumere i contorni di un fantastico racconto dell' infanzia, vissuto
con un trasporto ed una "sofferenza" che, preso negli ingranaggi del
vivere
quotidiano, egli si riteneva ormai incapace di esprimere.
Ma tutto questo, ovviamente è
stato scritto
in inglese, e inglese è il tosto del volume, donato alla, Biblioteca Fardelliana di Trapani da un
benemerito cittadino (un certo Signor Gaetano Baglio), pubblicato nel 1957
da una casa editrice neozelandese: una fonte quindi
"riservatissima" per i
pochi cultori della materia seguaci della teoria-madre di Butler (pure
questa, si badi, nota finora nel testo inglese), che volessero seguire gli
sviluppi ad essa d.ati
dal Pocock. Ed
è alquanto singolare che nessuno, tradotto alfine (1968)
il Butler, abbia ritenuto necessario curare contemporaneamente la traduzione dell'origine siciliana dell'Odissea, l'anello
successivo del filone di pensiero che veniva prendendo sempre più consistenza,
in una direzione che avrebbe dovuto suscitare l'interesse e l’iniziativa
della cultura ufficiale,
per una sua larga divulgazione, sia pure
inizialmente limitata all'ambito locale.
Dobbiamo essere quindi grati a Nina e Nat Scammacca che hanno provveduto (loro, dei "privati”!) a colmare una
tale lacuna traducendo il lavoro di Pocock, traduzione già pubblicata a puntate, dal maggio 1982 al
gennaio 1983, su Trapani Nuova e ora organicamente (e quindi
più
leggibilmente) esposta in un bel
volume edito (1986) dalla Cooperativa Editoriale Antigruppo Siciliano: un distillato
d'amore, venuto alla luce mercè l'infaticabile appassionato impegno (impegno in
tutti i sensi, compreso forse quello di obbligazione cambiaria) di questo
gruppo di irrecuperabili sognatori che
si chiama "Antigruppo" .
Parlando di origine siciliana dell'Odissea,
non si
può infine non
accennare all’opera di Vincenzo Barrabini
(finalmente uno studioso di casa nostra! per inciso, fratello del professore
d'inglese traduttore dì Butler), "L'Odissea rivelata", pubblicata nel
1967: un lavoro prezioso, ampiamente e meno superficialmente documentato, un punto
fermo, una ricostruzione puntuale
completa ed avvincente della "teoria siciliana" (un testo che merita
studio e lettura integrale), nato da un
iniziale atteggiamento di grande scetticismo e via via di crescente interesse ed amore, sulla scia della fondamentale
elaborazione di Butler e Pocock.
Il seguito,come suol dirsi,al
prossimo numero.
su questo stesso blog:
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