Non cancellate i
sogni!
No alle perdite diffuse del senso
del limite e della responsabilità
Giorgio Napolitano

Con
tanti italiani, il 17 marzo ho esposto
il tricolore, non per seguire una “direttiva”, ma perché questa collettiva
manifestazione esteriore mi dava l’occasione per riflettere sul mio modo di essere e “sentirmi” cittadino
di questa comunità nazionale, per rivendicarne la dignità di uomo libero
condivisa con milioni e milioni di miei simili e per ripercorrere un itinerario
di vita iniziato nei lontani anni della prima giovinezza.
Usciti
dalla tragedia di una folle guerra, spezzati i ceppi dell’oscurantismo, affrancati
dalla mistica fascista inculcata fin ai neonati, mentre ancora
ci dibattevamo nelle difficoltà materiali del vivere quotidiano, dalle macerie
delle nostre case ci affacciavamo alla primavera della vita, la nostra, che coincideva
con quella della Repubblica; si aprivano nuovi orizzonti, quasi increduli
scoprivamo “diritti”, fino ad ieri mai messi in conto: riunirci libe-ramente,
esprimere discutere, rispettandole, le
nostre e le altrui opinioni, manifestare questa gioiosa gratificazione, unendoci
idealmente ai Fratelli d’Italia, … pronti
alla morte perché l’Italia chiamò”.
Commossi
e riverenti, noi giovani di allora, non possiamo e non dobbiamo sottacere
l’indecente avvilente immagine offerta oggi, a questo passaggio di solenne
impegno, da alti rappresentanti delle
istituzioni: smorfie e plateali scongiuri
con ostentata corsa a metter mani alle…tasche –loro, i cultori del celo-durismo!- per la verifica
dell’esistenza in vita dei loro ferrigni attributi, icone le più rappresentative,
in uno con la faccia, della loro primigenia essenza, mentre un noto allevatore
di ...trote cisalpino si abbandona all’elegante
rito del digitus impudicus in un tripudio di debordante folla, satolla di rocchi e tocchi
di padana salsiccia innaffiata da ripetute e copiose libagioni..
Mondata degli orpelli del nazionalismo
retorico, razzista e sopraffattore, ci veniva incontro l’idea di “Patria del
popolo sorta sulle rovine della Patria dei re”: ecco, Mazzini!
su 'l fluttuante secolo,
ei grande,
austero, immoto appare
(Carducci, Giuseppe Mazzini)
![]() |
bandiera della Repubblica Romana |
Ci accostavamo orgogliosi e grati ai
protagonisti del nostro Risorgimento fondato su Pensiero, la Patria , ed Azione: i moti
popolari del 1821 e del 1848, l’epopea garibaldina dei Mille
È Garibaldi ,
scinnutu d'a mari:
iddu stissu 'mpirsuna vinni ccà
pri darci la pirduta libirtà.
Ci battevamo per la Repubblica , premessa necessaria
per realizzare “la Patria
del popolo”, in un’atmosfera di entusiasmo,
di speranza e di solidarietà, si credeva e ci si batteva con passione per
“ideali”.
Per volontà di popolo nacque la Repubblica e in appena
diciotto mesi fu promulgata la carta
costituzionale, che consacrava la nostra dignità di uomini liberi.
L’Italia rinasce per virtù di popolo e
saggezza di governanti, col contributo determinante, spesso mortificato o
ignorato, è bene ricordarlo, di una marea di
emigranti meridionali che hanno lasciato la loro terra con la morte nel
cuore e uno straccio di speranza
raggomitolato in fondo ad una valigia di cartone.
Arriva un benessere mai prima conosciuto
che, ma è nella natura umana, apre però la
strada, sempre più invasivamente e impudentemente, agli egoismi, alla
spavalda aggressività e alle chiusure, off limits, non è più tempo di solidarietà e unità: “cu’ avi chiù purviri spara,”cinicamente
o amaramente sentenziava un detto di casa nostra.
Mazzini riprende il suo posto in soffitta.
“Non c’è
più religione!” lamentavano i nostri nonni di fronte al presunto cedimento del costume e della
morale rappresentato da modesti accenni di innovazione. Possiamo ben riprendere oggi questo motivo noi, dovendo
subire, increduli ed attoniti, il livoroso stizzoso melenso e stridulo
controcanto (“niente da festeggiare!,
anzi…”) che vede per l’occasione ancora in campo, dilagata in ogni dove e su tutti i siti della rete, un’accoppiata, “innaturale”
solo in apparenza, impegnata in una disperata quanto pertinace operazione di
vivisezione demolitoria della storia patria,
E così Lui, Garibaldi, lo ritroviamo
bruciato in effigie da giullari di paese, succubi di quegli stessi cattivi
maestri che propugnano di abbatterne i monumenti che lo ricordano in tutte le
piazze d’Italia, per sostituirlo nientemeno con Pio IX!
Le teste d’ariete della disgregazione e
della mistificazione picchiano addirittura contri “i principi” del patto di
convivenza civile stipulato al nascere del regime democratico. Mentre, a
ridosso delle Alpi, opulenti quanto
invasati ed arroganti cerberi “padani” (calpesti e derisi?), verde
incravattati a tinta unita o anche a
pois, pochette adeguata, in servizio
permanente di guardia allo scrigno dei danè,
nel maldestro tentativo di conferire una patina storica ed etica ai loro prosaici
interessi di bottega -ma quale unità d’Italia, ma quale tricolore, ma di che stiamo
parlando!-rivendicano la discendenza da Brenno (accezione latina di “corvo”),
capo della tribù celtica
dei Galli Senoni, quello, per intenderci, che -guarda
caso!- pretese da Roma “ladrona” ben mille
libre d’oro.
Penso che, a questo punto, un
riquadro ad personam meritano alcune
lepidezze del sullodato allevatore cisalpino:
“Quando vedo il tricolore io m’incazzo. Il
tricolore lo uso soltanto per pulirmi il culo”.
“Il nostro popolo è pronto ad attaccare. Si
dice che il Paese stia andando a fondo, ma io conosco un solo Paese, che è la Padania. Dell'Italia
non me ne frega niente.”
"Basta con la sigla Spqr, senatus
populusque romanus... io dico: sono porci questi romani".
Abbiamo
parlato di “accoppiata”. Trasvolando i cieli d’Italia, ultra Fretum Siculum (non ancora deturpato dal favoloso “Ponte” che, dovrebbe “unire”: ma chi e perché?, ci
domandiamo a questo punto), al vento del Nord vengono festosi incontro
altri “estimatori” dell’Eroe dei due mondi”:
Cumpà, quello era un latro di cavaddi
che faceva il pirata bucaniero,
di pilu lungarinu a supraspaddi
pirchì n'oricchia ci mancava vero,
no pi mancanza, ma tagghiata e vvìa
pirchì campava di piratarìa.
che faceva il pirata bucaniero,
di pilu lungarinu a supraspaddi
pirchì n'oricchia ci mancava vero,
no pi mancanza, ma tagghiata e vvìa
pirchì campava di piratarìa.
Padani e
siculiani (…fratelli
d’Italia?) sottoscrivono il “Patto per le
Autonomie, che permette,
finalmente, la necessaria sinergia tra il Nord e il Sud del Paese”.
Ci è toccato sentire pontificare
che, ipse dixit: “…se la Lega volesse dividere
l'Italia, la Sicilia
“avrebbe tanto da guadagnarne se volessero la secessione e a noi dessero la
nostra libertà di autogovernarci”.
Ma questo
sarebbe niente. A parte l’etichetta di “avanzi di galera” appioppata ai Mille
di Garibaldi, qualcuno ha scoperto che “I primi campi di concentramento e di
sterminio in Europa li istituirono gli italiani
del Nord per tormentare e farvi morire gli italiani del Sud a migliaia, forse a
decine di migliaia (non si sa perché li
squagliavano nella calce)…”
Che
dobbiamo fare? Ammuccamu?!
Cui prodest? Chi è il regista di questa
colossale truffa? Chi li finanzia? Col rispolverare istanze “legittimiste” di
questo tipo, una sorta di delirium fremens destructionis, cieco, acrimonioso e massimalista, dove vogliamo
andare a parare? Cosa cerchiamo? Vogliamo un lungo e sincero baciamolemani per la Sicilia
dal Presidente del Consiglio pro tempore a titolo di “riparazione” per i
torti subiti da parte di…Garibaldi?
Vogliamo rimanere abbarbicati
al vittimismo di ritorno, alibi largamente sperimentato nel corso di decenni
per giustificare e legittimare trasformismo, allegra finanza, faraonici
privilegi, inefficienza, furbizie, coperture, inconfessabili connivenze?
(Istruttivo,
su certo modo di gestire la politica isolana, il “bozzetto” – Al servizio del popolo – magistralmente tracciato
dal prof. Rocco Fodale, riportato nelle pagine che seguono).
Opportuno
qui riprendere, per dichiararne la
nostra piena condivisione, la conclusione dell’ampio e acuto excursus storico
politico-sociale di Eugenio Giannone pubblicato sull’ultimo numero di Lumie di
Sicilia:
“Nessun siciliano
mette in dubbio l’Unità della Patria per la quale nei moti risorgimentali e
nelle guerre molti hanno combattuto e dato la vita. Francamente un po‘ tutti i
nostri avi si sarebbero aspettati un trattamento diverso e una maggiore
attenzione e autonomia, che quando è arrivata non è stata saputa adeguatamente
indirizzare. Se i “piemontesi” hanno colpe, sicuramente le loro responsabilità
sono minori di quanti avrebbero dovuto rappresentare al Parlamento nazionale
le istanze dei Siciliani, un popolo che s’è abituato a chiedere per favore
quanto gli spetta di diritto, ad aspettare che gli altri risolvano i suoi
problemi e a flirtare col potere”.
* * *
Per partecipare a questa straordinario
compleanno abbiamo voluto indossare …l’abito della festa, una inconsueta
copertina a colori, con la quale vogliamo richiamare alla nostra memoria alcuni
momenti storici che dalle Alpi al mare
di Sicilia hanno visto significativamente adottare lo stesso simbolo di unità, il tricolore. Ancora
legati al “mito del Risorgimento”, il sogno che ha gratificato la nostra
giovinezza, nelle pagine interne, poi, andiamo “spigolando” qua e là sco-prendo
oscuri eroi ed eroine della terra di Sicilia, che hanno dato il loro apporto al
travagliato parto di questa creatura concepita dalla mente e dal cuore di
personaggi che nessuno mai potrà cancellare dai nostri cuori.
Dalle Alpi al Mare, quindi, ben tornata,
(giovane) Italia!
Giuseppina Turrisi Colonna
Figlia del barone Mauro Turrisi e
di Rosalia Colonna, Giuseppina (1822-1848) trascorse quasi tutta la sua breve
vita a Palermo, dedicandosi allo studio delle lingue antiche e della storia
sotto la guida di Giuseppe Borghi e di Michele Amari,
storico dei Vespri Siciliani. Per il suo spirito patriottico fu nota, in
Sicilia, come la "Santa Rosalia del Risorgimento".
Giuseppina scrive articoli sul polemico giornale palermitano
"La ruota" e nel 1846 trascorre l´estate a Firenze. È fra i primi a
superare il soffocante concetto di "patria siciliana" e continua a
rivolgersi alle donne, da cui attende un risor-gimento morale perché diventi
possibile quello politico. E sogna un´Italia unita, senza per questo nemmeno
per un momento credere in papa Pio IX perché l´Italia non può rinascere «nelle
tene-brose sale del Vaticano».
da L'ADDIO DI LORD
BYRON ALL'ITALIA.
Italia! Italia! com'è
dolce il suono
Della celeste armonica favella!
Nel ciel, nelle odorate aure, nel dono
D' ogni cosa gentil, come sei bella !
Di foco è l'alma dei gagliardi, sono
Di foco gli occhi d' ogni tua donzella;
E da quegli occhi, da quell'alme anch'io
Se il bel foco ritrassi, Italia, addio.
Della celeste armonica favella!
Nel ciel, nelle odorate aure, nel dono
D' ogni cosa gentil, come sei bella !
Di foco è l'alma dei gagliardi, sono
Di foco gli occhi d' ogni tua donzella;
E da quegli occhi, da quell'alme anch'io
Se il bel foco ritrassi, Italia, addio.
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GASPARE
BURGARELLA AJOLA
Appartenente ad un antica famiglia imprenditoriale, che alla fine del XVIII fece la fortuna economica di Trapani, Gaspare Burgarella Ajola fu il nonno ma-terno dell'illustrissimo letterato trapanese
Appartenente ad un antica famiglia imprenditoriale, che alla fine del XVIII fece la fortuna economica di Trapani, Gaspare Burgarella Ajola fu il nonno ma-terno dell'illustrissimo letterato trapanese
"Tito
Marrone".
Gaspare Burgarella Ajola fu un gari-baldino
che, insieme ai fratelli Agostino e Ignazio, fu insignito della medaglia di
bronzo al valor militare per essersi distinto nelle battaglie del Risorgimento
italiano.
In una lettera all'amico giornalista trapanese Pietro Vento del 16 agosto 1962, Tito Marrone ricorda come il nonno
In una lettera all'amico giornalista trapanese Pietro Vento del 16 agosto 1962, Tito Marrone ricorda come il nonno
materno, Gaspare Burgarella Ajola,
aveva salvato nel maggio 1860 la bandiera del piroscafo "Lombardo"
sotto il bombar-damento borbonico, che gli fu poi donata da Giuseppe Garibaldi
e che è conservata al Museo Pepoli di Trapani.
(sul sito “Trapani Nostra”)
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sul n. 72 di Lumie di Sicilia - giugno 2011
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