Turi Vasile all'ACUSIF nel 1997
- Nonno, pecchè non giochi commè?
-Debbo andare, bimbo mio (lo
confesso, mi stava scappando un "là dove mi porta il cuore",
incappando così nella mielosa trappola delle banalità preconfezionate): c'è un
signore "importante", si chiama Turi Vasile, venuto a Firenze per
parlare della "sua" Sicilia (sai quel posto lontano lontano con "Lo sperone
del gallo", ti ricordi? la nostra casetta vicino al mare...).
Una Sicilia che, guarda caso, è
anche la "mia", e quella di tanti altri qui convenuti per sentire,
commuoversi, entusiasmarsi, con chi come loro non pretende di
"razionalizzare", ma soltanto mettere ordine, meglio esprimere questo
comune sentire, coltivato "dentro", il mosaico dei ricordi, delle
riflessioni, delle amarezze , dell'amore verso quest'entità "nostra",
quasi astratta, ma vitale ed appagante, che si chiama Sicilia!
..."Quando si era bambini e si viveva in un'isola chiamata Sicilia", così comincia uno dei suoi racconti ( "la bisaccia dei ricordi").
"Un siciliano umile ma non modesto... un esponente prestigioso della Sicilia 'vera', quella nascosta, lontana dai clamori della pubblicità, quella che non 'fa notizia', quella a cui appartengono i personaggi dell'aristocrazia del pensiero", così ce lo presenta Giuseppe C. Pappalardo. Dopo aver ricordato le tappe salienti della sua intensa poliedrica "carriera" di regista, produttore, sceneggiatore, saggista, drammaturgo (Firenze, l'altro suo amore, l'ha visto esordire come autore teatrale), si sofferma su "Turi Vasile scrittore" (ultimo di una "collana" prestigiosa che annovera i "padri" della letteratura italiana), per il quale riprende il concetto del sofisma gorgiano dell'Isola che non c'è, della Sicilia come metafora, della Sicilia come luogo della memoria. Turi Vasile scrittore, "scrittore" senza aggettivi, con la memoria ripercorre nei suoi racconti le strade del passato per capire un presente vieppiù indecifrabile.
Concetti ripresi subito, in piena sintonia, da Turi Vasile, un uomo dallo
sguardo sereno e penetrante, un amico mai prima conosciuto eppure subito
"ritrovato", personaggio "antico" scolpito dal vento e dai
marosi di Capo d'Orlando e di San Gregorio, il microcosmo indimenticato dell'
infanzia: la Sicilia
"povera" ma, afferma con vigore coinvolgente, integra (la Sicilia -ricorda con
Bufalino- è stata guastata dal miraggio del benessere), virtuosa nella fame,
con la sua dignità, con coraggio, senza disperazione, con orgoglio. Quell'orgoglio
che impegnava lui, giovane studente proiettato fuori dal suo mondo, a
"dover" diventare il primo della classe per "riscattare" la
colpa del suo "essere siciliano", così come per migliaia e migliaia
di emigrati, quelli della "diaspora", diventati "qualcuno"
nei paesi d'oltreoceano dove erano sbarcati laceri, poveri, sporchi,
analfabeti, a ...spargere Sicilia (e dentro coltiva il progetto di chiamarli a
convegno, in Sicilia, quasi a voler "sbandierare" al mondo l'altra
faccia della Sicilia).
La "sua" Sicilia è una "nazione", una cultura capace di essere fedele nei secoli, da Gorgia a Pirandello, con una letteratura, parte viva di quella europea, che sembra voler cancellare la realtà con la poesia.
..."Quando si era bambini e si viveva in un'isola chiamata Sicilia", così comincia uno dei suoi racconti ( "la bisaccia dei ricordi").
"Un siciliano umile ma non modesto... un esponente prestigioso della Sicilia 'vera', quella nascosta, lontana dai clamori della pubblicità, quella che non 'fa notizia', quella a cui appartengono i personaggi dell'aristocrazia del pensiero", così ce lo presenta Giuseppe C. Pappalardo. Dopo aver ricordato le tappe salienti della sua intensa poliedrica "carriera" di regista, produttore, sceneggiatore, saggista, drammaturgo (Firenze, l'altro suo amore, l'ha visto esordire come autore teatrale), si sofferma su "Turi Vasile scrittore" (ultimo di una "collana" prestigiosa che annovera i "padri" della letteratura italiana), per il quale riprende il concetto del sofisma gorgiano dell'Isola che non c'è, della Sicilia come metafora, della Sicilia come luogo della memoria. Turi Vasile scrittore, "scrittore" senza aggettivi, con la memoria ripercorre nei suoi racconti le strade del passato per capire un presente vieppiù indecifrabile.
il faro di Capo d'Orlando |
La "sua" Sicilia è una "nazione", una cultura capace di essere fedele nei secoli, da Gorgia a Pirandello, con una letteratura, parte viva di quella europea, che sembra voler cancellare la realtà con la poesia.
"Non espone ragioni, ma propone emozioni", ancora fresche,
recenti, rivissute intensamente come se il tempo si fosse fermato,come in uno
dei suoi tanti film. Rivivono, schegge sfavillanti nei recessi della memoria, i
ricordi e le emozioni, incancellabili, dell'infanzia e della prima giovinezza:
gli odori della
memoria (la
zagara,le scorza di agrumi a Messina , lo zolfo a Catania), le amicizie
giovanili, i genitori, la paura del vento, la scuola, la lissa ca mi smancia, misteriosa malattia dell'anima
che alberga nelle genti dello Stretto, i personaggi semplici dell' ambiente
isola che diventa "il mondo". Sono, scrive Antonio Piromalli, pagine che rimangono nella
letteratura siciliana per il loro ethos etnico di una stratificata ab antiquo società isolana, per la
dialettalità del sentimento che le ispira. La sicilianità è un modo di
essere, ognuno ha la sua Sicilia, quella che è dentro di noi, nella parte
incontaminata di noi, "il paradiso perduto".
La Sicilia di Turi Vasile è
il mito: come non riconoscere nel dio Pan il pastorello di Capo d' Orlando "che col suo fiato e con
le sue dita carezzevoli sprigionava da una zampogna di canna quella melodia la
cui provenienza restava tuttavia misteriosa"!
Da Capo d'Orlando si scorge la
dimora del re del vento, quel dio che terrorizzava la sua infanzia col suo gran
"fiato umido e freddo"); dell'esistenza del vicino Vulcano
"sapeva" ancor prima di conoscerlo; e dalle acque delle Eolie vedeva
emergere possente il Ciclope. "Dopo mezzo secolo di peregrinazioni",
cerca una risposta alla sua domanda di bambino: cosa si nasconde dietro il
velario dell'orizzonte intravisto dal faro di Capo d'Orlando? "L'altra parte era
veramente un'altra. Non vedevo ne avrei visto la residenza di Eolo
amministratore dei venti, ne la forgia di Efesto, il marito zoppo di Afrodite.
E i ciclopi? Dove erano i ciclopi che mi guardavano in silenzio con il loro
occhio tondo, senza palpebre e senza ciglia? Si erano tutti trasferiti sull'
Etna, a scagliare massi contro Odisseo in fuga? 'Ero io Odisseo?' Mio malgrado
sorrisi perchè io non fuggivo: tornavo... All'improvviso sentii che la terra
bagnata di pioggia esalava l'odore del finocchio selvatico, dell'origano, della
nepitella, della mentuccia e del cappero l'odore della mia infanzia che aveva
fatto il giro del mondo con me. Ero tornato dove non ero stato mai. "
Polifemo |
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