qui si parla di radici (ma non è una nota di botanica...!)
Nel 1988, a Firenze, abbiamo dato vita all'Associazione Culturale Sicilia Firenze.
Nella fase di "assestamento" sono stati posti interrogativi riguardanti la «categoria» di emigrato in cui riconoscerci e il tipo dì cultura da ...scegliere.
Mi pare opportuno richiamare qui di seguito, prima di dedicarmi al mio loco natio, il mio contributo pubblicato, per la rubrica dedicata alle nove province siciliane sul periodico dell'associazione, "Lumie di Sicilia".
Senza evocare !e migrazioni bìbliche di portata storica, direi in partenza che tutti, chi più chi meno, volenti o nolenti, borghesi o proletari, siamo emigrati in qualche modo «forzati». Nessuno, è vero, ci ha imbarcato su vagoni piombati per i campi di lavoro del "Continente" ma, quali che siano state le motivazioni personali, è un fatto incontestabile che il flusso migratorio interno degli ultimi decenni sia da collegare, per proporzioni e continuità, direttamente alle precarie condizioni di vita delle regioni meridionali.
Nella fase di "assestamento" sono stati posti interrogativi riguardanti la «categoria» di emigrato in cui riconoscerci e il tipo dì cultura da ...scegliere.
Mi pare opportuno richiamare qui di seguito, prima di dedicarmi al mio loco natio, il mio contributo pubblicato, per la rubrica dedicata alle nove province siciliane sul periodico dell'associazione, "Lumie di Sicilia".
Senza evocare !e migrazioni bìbliche di portata storica, direi in partenza che tutti, chi più chi meno, volenti o nolenti, borghesi o proletari, siamo emigrati in qualche modo «forzati». Nessuno, è vero, ci ha imbarcato su vagoni piombati per i campi di lavoro del "Continente" ma, quali che siano state le motivazioni personali, è un fatto incontestabile che il flusso migratorio interno degli ultimi decenni sia da collegare, per proporzioni e continuità, direttamente alle precarie condizioni di vita delle regioni meridionali.
Sì deve peraltro subito aggiungere che tutti, in varia misura, abbiamo
finito per «acclimatarci», svolgendo dignitosamente il nostro lavoro,
diventando spesso elemento di propulsione nell'ambito sociale in cui ci siamo
trapiantanti, allacciando rapporti personali e di gruppo, stabilendo vincoli
sentimentali, germinando cioè i «viticci» del nostro vìvere quotidiano in
Piemonte, in Lombardia. in Toscana, in qualsiasi altra paese d'Italia siamo
potuti approdare. Stabilito quindi che non abbiamo motivi per nutrire complessi
di soggezione (la preoccupazione di apparire «clan») e, per contro,
atteggiamenti di astio e tentazioni isolazionistiche (il rifugio nel clan),
affermata cioè la tenacità e la vitalità dei viticci, qui cade il tema delle
«radici».
In botanica, radice èla parte delle piante superiori infissa nel terreno,
dal quale trae alimento mediante gli appositi apparati di cui è provvista.
Il traslato, scontato quanto si voglia ma calzante per le nostre riflessioni,
viene spontaneo: la radice (rhizà) è la parte più interiore, più viva di noi,
quella che ci ha sostenuto nell'infanzia, nella giovinezza, nel processo di
formazione del nostro essere «pianta»; quella che. infissa nel terreno dì
Sicilia, di Sardegna, di Toscana o di qualsivoglia posto dei mondo, ha elaborato
il nutrimento della nostra crescita, del nostro esistere; quella che,
attraverso il sistema linfatico della memoria, dei semimenti, e se vogliamo del
subconscio o anche della fantasia, ci porta ancora, finché e affinché la
pianta viva, il distillato degli affetti, delle aspirazioni appagate e dei
rimpianti, dei ricordi, dei sogni, delle immagini, delle luci, dei suoni
diffusi nei recessi dell'io, la creta con cui continuiamo irrequieti e
insoddisfatti a modellare l'ampolla della nostra vita.
Siamo così arrivati alla
CULTURA, all'ordito dei costumi, dei modi di vivere, delie istituzioni
economiche, sociali, politiche, educative, delle manifestazioni artistiche,
religiose, letterarie, del folklore, delle parlale, il patrimonio connine dei
«valori» che un gruppo sociale «coltiva» e tramanda, su cui s'intessono gli
echi dell'infanzia, gli slanci della giovinezza, le esperienze della maturità,
la trama cioè dei sottili argentei fili che legano il presente al passato di
ciascuno di noi.
Quando li dicono: -Ma sa che lei non sembra neanche siciliano! -, non
compiacertene, diffida (è come quando ad una signora, imbellettata ed arzilla,
ma di una «certa età», benignamente si concede un «aspetto giovanile»: il più
delle volte è una malevolenza'). E se, inconsciamente, ti capitasse, quasi
giustificandoti, di balbettare: -Sono nato in Calabria, ma vìvo a Milano da
tanti anni -. pentiti e recita subito una poesia nel tuo dialetto, forse potrai
ancora salvarti!
La sconfessione o la mimetizzazione (che è la stessa cosa) delle proprie
radici è un atto stupido e non pagante, cosi come la loro affermazione non può
tradursi in gargarizzanti manifestazioiiì. altrettanto stupide, di arroganza e
di sussiego.
La domanda: Quale cultura scegliere? a questo punto diventa pleonastica
o soltanto provocatoria: la scelta è già stata fatta il giorno in cui ci siamo
incontrati assumendo l'impegno di ravvivare e promuovere la conoscenza e la
diffusione della «nostra» cultura (è chiaro che, senza questo obiettivo,
l'incontro - almeno su un piano comunitario - non avrebbe avuto luogo).
Ma. attenzione! nel perseguire queste finalità non intendiamo in alcun
modo indulgere a quelle manifestazioni di stupidità cui accennavamo dianzi:
non siamo «contro», siamo «per»! meno che mai siamo contro o fuori dal contesto
sociale e culturale in cui abbiamo affondato i nostri viticci: al contrario,
vogliamo presentare la nostra cultura, a noi stessi e agli altri, per
rafforzare e stabilire legami. presentare la nostra cultura, a noi stessi e
agli altri, per rafforzare e stabilire legami, per tentare di
cancellare o almeno attenuare reciproci pregiudizi e diffidenze, non per
scontrarci ma per incontrarci («l'incontro delle culture» patrocinato
dall'UNESCO). Perché ci sia un incontro, è lapalissiano, occorrono più
soggetti, ciascuno con ì «suoi» temi: ebbene, senza velleitarismi e consapevoli
dei nostri limiti, chi se non noi stessi, potrà portare a questo incontro la « nostra una
cultura che, sia detto senza enfasi ma con fermezza, ha una sua autonomia ed un prezioso
patrimonio, fatto di piccole e grandi cose, che le dà pieno titolo per «partecipare»,
con una propria squadra e sotto una propria bandiera, a questo appuntamenti
Un'ultima
considerazione: la diffusione della nostra cultura è sì un fatto di conoscenza,
è sì un fatto di aggregazione spirituale e sentimentale, è sì anche un atto di
amore verso i nostri figli, che non abbiano a sentirsi «trovatelli», ma è
direi soprattutto un vincolante atto di dignità.
Perché, e qui siamo
ancora alle radici, il terreno in cui esse sono infisse, una volta cosi ubertoso
e verdeggiante, è depauperato, disseccato, sterile, inquinato.
Di fronte ad
una realtà drammatica, dolorosa, mortificatrice che non possiamo e non
vogliamo ignorare o minimizzare, noi contrapponiamo (una piccola goccia sì, ma un'indicazione etica) la «storia» di questa terra nelle sue varie espressioni,
storia che è natura, che è arte, che è lavoro, che è mito, che è lingua, che è costume, che é tradizione, che è vita.
E non per commiserarci o esaltarci in
essa, allineandovi e coltivando le memorie antiche per esorcizzare le miserie
presenti, quanto piuttosto per cercare in essa, e in nome di essa, la spinta
ideale, i germogli di un processo rigeneratore, dal quale non possono «chiamarsi
fuori» gli emigrati, forzati o volontari che siano.
Tutto è predisposto:tabelle di carico delle valige
debitamente numerate e classificate,con l'elenco dei capi di
vestiario,biancheria,costumi da bagno, pinne,sandali,cinepresa,occhiali da sole
e cianfrusaglie varie che per un mese ci accompagneranno nell'annuale
pellegrinaggio turistico-sentimentale alla città natale.
I biglietti del "Canguro" da oltre un mese
sono piazzati sul tavolinetto dell'ingresso, in bella vista, a ricordare –se mai
ce ne fosse bisogno- la scadenza sempre più vicina.
Per gatti,cani e uccelli, per dirla con Nino
Montanti, non c'è problema: non ne abbiamo.
Alle piante penserà lo
zelante,anche se non del tutto disinteressato,portiere. La licenza, studiata,concordata
e prenotata da oltre tre mesi,è finalmente bollata e firmata. Si parte!
-Rroma,Rroma!- gridava a squarciagola in vista della
capitale il buon Angelo Musco,uscito per la prima volta dal paesello.
Io,che sono piuttosto contegnoso,non mi abbandonerò ad
incomposte manifestazioni esteriori di entusiasmo o di commozione:coverò dentro
di me la febbre che mi prende al pensiero del "ritorno" purtroppo
fugace,reprimerò quel pizzico di commozione che immancabilmente mi prende alla
gola alla vista del Monte Pellegrino indorato dal primo sole del
mattino,avamposto di una vetta tanto più cara che d'un tratto ti si staglia
davanti,maestosa e solitaria,luminosa o incappucciata,punto di riferimento e
traguardo di tanti sogni,amarezze e speranze.
Terra,terra! la mia caravella veleggia a vele spiegate,agile e
sicura,verso il porto amico,ad imbarcare un carico impalpabile e prezioso:aria
di casa.
(nota su Trapani Nuova del 1974)
Crogiolato dal caldo sole del lido natio, sfiancato da interi pomeriggi e serate impegnati in roventi sfide a "marianna" e tressette ( un bagno di 'paesite' tonico e rinfrescante ) combattute a Baglio Augugliaro, ai piedi della vetta ericina, il tempo delle vacanze estive è volato via senza poter mantenere l'impegno di stilare "in diretta'' le pagine da dedicare ( un trapanese, e chi altri?! ) a Trapani su "Lumie di Sicilia".
Lo faremo ora. nella quiete autunnale, affidando al periscopio della memoria e al radar delle emozioni la perlustrazione di luoghi e di immagini che man man affiorano, l'uno chiama l'altra, s'inseguono. s'intrecciano per comporre quello che, umana debolezza, vorremmo riuscisse il più cattivante di questi itinerari dedicali alle città di Sicilia.
Una
provincia,
questa di Trapani, vogliamo dirlo a chiare lettere senza infingimenti o falsi
pudori, in questi ultimi anni balzata al disonore delle cronache giornalistiche
e televisive per "fatti di mafia,": la piovra.
Una realtà drammatica, dolorosa, avvilente, alla quale vogliamo
contrapporre la "storia", nelle sue varie espressioni, natura arte
economia letteratura religione lavoro mito lingua costume tradizione, sintesi e
proiezione del vivere e del sentire di una società umana nel corso dei secoli .
in cui ritrovare l'orgoglio e la spinta per un autonomo processo dì
rigenerazione che ci riporti alla nostra naturale vocazione di popolo operoso e
civile.
Una passeggiata sognata quindi sulle ali del sentimento, dei ricordi e
della storia, a cui invitare amici e "forestieri", sottobraccio per
le strade, per i vicoli, per le coste, per le isole, per le campagne, per i monti, per i templi
millenari di questo estremo lembo d'Italia e di Sicilia, crocevia di antiche
civiltà.
IN TERRAZZA A SOGNARE
una stradina di Erice |
Saliamo subito ad Erice. u munti (Monte San Giuliano), la solitaria maestosa montagna sacra, la rocca dei Ciclopi e degli Elimi anfiteatro aperto sul mare di Sicilia, il sofà della luna, l'antico fascinoso borgo, eterea terrazza che si affaccia sulle nuvole del tempo, sorretta dalle poderose mura innalzale ventisette secoli orsono.
A te, Dea. offrirò fiori selvatici
di questa nostra
montagna
arrampicandomi per tutto il giorno sul colle
mentre tira un vento che
fluttua nei capelli
gioisco con
gli occhi lacrimanti
come in un mare si mescolano
ì colori ai colori del mio
cuore
allungo la mano giù all'erica
e tocco il cielo
(Nat Scamaccca)
Perché è da essa, osservatorio a 360 gradi, che possiamo spaziare sul territorio e sul mare di Trapani, dove veleggiarono i vascelli di tutte le genti mediterranee, dove la storia s'incrociò col mito.
Ecco, ai suoi piedi, la città, la falce. Drepanon, fondata
da Saturno, Crono, l'implacabile titano che. col favore della notte, tende un
agguato al padre Urano, mutilandolo con la falce: un episodio magistralmente descritto da Giuseppe Marco Calvino, massimo poeta trapanese 1785-1833
.
Trapani 'un era chi tri casi e
un furnu (1)
chi ssu gran fonti sempri è statu adornu
di lu nostru Gran Diu Patri Saturnu
Chi quannu ci affirrau lu capostornu,
ed a lu scuru in tempore notturnu
a so patri li mazzari tagghiau
la fauci 'ntra sta spiaggia
la jccau
(1) la fontana con la statua di Saturno, nella zona del porto = n.d.r. )
E ancora: "...quod Saturnus post amputata
virilia Coelo patri, illic falcem projecerit..."
Oppure, Trapani la falce di Cerere: "Quidam Drepanum dictum volunt a falce Cereris, quam ibi, quum filiam suam Proserpinam quaereret. amisit" (Servius).
Trapan i= Scheria, la città dei Feaci e della dolce Nausica. la citta dei due mari:
"Poi perverremo alla città, attorno alla quale un muro allo ed un porto da entrambi le parti della città ad uno stretto istmo...{Odissca-IV)
Saline con lo sfondo di Erice |
dove il sale bianco picchia
a ritmi, uno dopo l'altro.
tamburi che rimbombano da mare a mare
(Nat Scamnuicca)
Una lingua di terra, un tempo un piccolo villaggio, fondalo dagli Elimi già prima della caduta di Troia su un arcipelago di isolotti, divenuto città quando nel 260
a .C. il cartaginese
Amilcare vi trasportò una parte degli abitanti di Erice.
E' allo stesso Amilcare che si deve la costruzione delle tre torri (di Levante. Pali e Colombaia ) che conla
Torre Vecchia e quella di Porta Ossuna sono rappresentate nello stemma della città.
E' allo stesso Amilcare che si deve la costruzione delle tre torri (di Levante. Pali e Colombaia ) che con
Nel 241 se ne impadronì il console Lutazio Catulo, dopo avere sconfìtto la flotta punica alle Egadi, riscattando così il
rovescio subito otto anni prima, sullo stesso mare,
dal console P. Claudio Pulcro ad opera del cartaginese Aderbale (in quest'occasione,
come racconta Mario Serraino, rifulse l'eroismo del
pescatore trapanese Rodio che di notte, solo e con la sua sola barca, riuscì ad affondare alcune navi romane).
Sotto i Romani non ebbe grande importanza a
causa della prossimità di Lilibeo = Marsala (da qui l'accesa colorita rivalità che anima da sempre le due città?!). Subì il saccheggio dei Vandali, il dominio dell'Impero
d'Oriente. poi dei Saraceni (che la chiamarono
'"Tarabanis"), quindi
dei Normanni.
Qui, in un periodo fervido di traffici, convennero
le navi che partivano per le crociate in Terra Santa e qui avevano i loro consolati Francesi, Catalani, Genovesi, Veneziani, Pisani e Fiorentini.
Ad una
schioppettata dalla Torre di I.igny, il fortilìzio ("propugnaculum ad urbis tutelam" ) costruito nel XVII secolo sulla punta estrema della città, emerge lo
stretto Scoglio del Malconsìglio, l'imbarcazione dei Feacì che Poseidone "pietra fece diventare e radicò nel
fondo" : su di esso si sarebbero riuniti (come avranno poi fatto in così
ristretto spazio?') i capi della congiura contro i Francesi, che doveva portare ai Vespri Siciliani.
Nell'agosto del 1282 vi sbarcò Pietro d'Aragona, venendo dall'Africa,
e vi fu accolto come liberatore.
Da notare ancora che nel mare di Trapani,
nel 1284, le galee siciliane, comandale da Palmerio Abbate e Ruggero Lauria.
sconfissero la flotta francese.
A lui la città dovette il principio della sua prosperità, accresciutasi per i favorì di Ferdinando il Cattolico che
( 1478) le accorda il titolo di "invittissima" e di Carlo V (1535), che ne amplia per la seconda volta la cerchia di mura di oriente e le concede speciali privilegi.
( 1478) le accorda il titolo di "invittissima" e di Carlo V (1535), che ne amplia per la seconda volta la cerchia di mura di oriente e le concede speciali privilegi.
I secoli successivi vedono la città partecipe delle alterne e tempestose vicende vissute
dalla Sicilia sotto le varie dominazioni, fino a giungere
all'epopea garibaldina che da queste parti (Marsala, Calatafimi, Salemi) ebbe
il suo battesimo.
C'ERA UNA VOLTA
cupola della Chiesa di San Francesco |
Qui, in questa casbah, prendevano vita, si animavano, i tanti bozzetti della quotidianità: la bottega-circolo del barbiere, redazione del gazzettino del quartiere: sulla strada, il deschetto del ciabattino, spesso attorniato da una nutrita schiera di... apprendisti perditempo, a fine giornata trasformato in lizza di accaniti scontri a tressette: davanti alle botteghe la mostra tutta colori delle mercanzie, la frutta, la verdura, i barili del "salatume": la levantina vivacità della pescheria: le abbanniate degli ambulanti, urlate strozzate e infine modulate in echi di nenie lontane: l'argentino gioioso scampanellio del gelataio col suo "pozzetto" di delizie montato su un triciclo...chianciti picciriddi: l'irrompere di un capraio, con capra al seguito, da cui spillare latte consumato - igiene a parte - sul momento...ma che bollire..!; il pescivendolo, pescatore o "rigattiere", su e giù per vicoli e stradine a decantare la "bellezza" del suo pesce accuratamente allineato sull'apposito cesto, finché, al calar della sera (quando il lampionaio aveva già addumatu ì fanali sulla punta di uno stoppino issato in cima ad una pertica). ad ogni giro s'innalzava il tono del suo accattivante messaggio mentre in proporzione diminuiva il prezzo... cicireddu. un chilu mezza lira, un cliilu se' sordi, quattru! sordi un cliilu.comu l’augghi è!...': e la vecchia "sfinciara" dalle cui abili dita prendevano rapida forma, uno dietro l'altro, morbidi anelli di pasta da imbiondire al bollore di fumanti pentole d'olio: e il maestro caramellaio, ieratico sacerdote di un rito affascinante, creatore dì "cannameli carrubba" fragranti di aromatiche essenze custodite in preziose ampolline: e quanti ragazzini, a sciami, a rincorrersi su e giù, garruli, vocianti, a piedi scalzi, felici, un tozzo di pane in mano e 'u strummalu nell'altra, pronti a cambiar gioco, sempre lì sulla strada.
E più in là. sulla marina, accanto ai vecchi
pescatori intenti a rammendare le reti, il martellare, sulle barche tirale a
secco, dei calafati bruciati dalla
pece fumante e dal sole: sulla banchina, una montagna di sale da caricare, cardarella dopo cardarella, su una nave
battente bandiera straniera, una colonna di uomini a torso nudo, chilo dopo
chilo, su e giù tutto il giorno, le carni piagale dal sole dal sudore e dal
sale, su e giù
fino al tramonto. Al di là della
strada, intanto, l'invito di un altro vecchio pescatore ad assaggiare il suo
polpo bollito s'incrocia con quello del venditore di fichidindia... venti una
lira.
PASTA D’ANCIULI
E' in questi vìcoli che, fra tanti odori più o meno gradevoli, puoi cogliere l'effluvio di fumanti pignate che partoriranno il piatto più emblematico e tradizionale trapanese, u cuscusu, originario dell'Africa del Nord, ma qui reinventalo con l'innesto del pesce:
cuscous |
lodata/ la grata, prilibata, cuscusata!
(Giuseppe Marco Calvino).
E qui ancora, il
Venerdì Santo, ha vita la lunga
processione, quasi 24 ore, dei venti gruppi lignei raffiguranti
la passione e la morte di Cristo: " i Misteri", quasi un bisticcio di parole per indicare insieme
il significato religioso e quello corporativo (il mestiere) collegato alla
tutela di ciascun gruppo assunta fin dal XVII secolo da ciascuna categoria di
artigiani e lavoratori delia città.
Parlando di essi, in ogni trapanese, grande o piccino, ateo e credente,
residente o emigrato, puoi cogliere un luccichio umido degli occhi, la
scintilla di un fuoco mai spento, covato dentro sotto la cenere dell'apatia e
del distacco esteriori, la fiaccola accesa dal nonno del nonno del nonno,
secoli fa. là sui bastioni delle Mura di Tramontana, sulla Torre di Ligny,.sull'isoletta della
Colombaia (qui dove, volando a stormi, calando dall'alto si rifugiavano le
bianche colombe, consacrate nel tempio di Venere ericìna. per segnare l'inizio
delle leste Anagogie), la fiaccola accesa sulle cupole delle chiese
settecentesche, sugli scogli e sulle barche veleggiami sul mare, un lume che si
affaccia ad ogni finestra, ad ogni balcone, amorevolmente portato da un
vecchio, da una madre, da un bambino, un falò scoppiettante alimentato da mille
mani in ogni strada, in ogni vicolo, nei meandri nei quali ogni anno si
addentrano e si attardano i Misteri, i Misteri della Passione di Gesù, i Misteri della vita di
una città, di una comunità che in essi ritrova le sue sparse radici.
Lo stesso fervore che anima il secolare culto della Madonna di Trapani, la stupenda statua marmorea di Nino Pisano, qui approdata in circostanze circonfuse di leggenda, collocata nel Santuario che sorge "fuori porta", menttre il suo vecchio convento raccoglie le preziose opere e i cimeli del Museo Pepoli, fra cui i "pezzi" usciti, dal '600 all'800, dalle botteghe artigiane dei corallai e degli orafi trapanesi.
Per inciso, altra presenza toscana a Trapani è costituita dalla "Madonna degli Angeli", terracotta invetriata di Andrea della Robbia, collocata nella Chiesa di S.Maria di Gesù.
un gruppo dei Misteri: "L'arresto" |
Lo stesso fervore che anima il secolare culto della Madonna di Trapani, la stupenda statua marmorea di Nino Pisano, qui approdata in circostanze circonfuse di leggenda, collocata nel Santuario che sorge "fuori porta", menttre il suo vecchio convento raccoglie le preziose opere e i cimeli del Museo Pepoli, fra cui i "pezzi" usciti, dal '600 all'800, dalle botteghe artigiane dei corallai e degli orafi trapanesi.
Per inciso, altra presenza toscana a Trapani è costituita dalla "Madonna degli Angeli", terracotta invetriata di Andrea della Robbia, collocata nella Chiesa di S.Maria di Gesù.
LE VELE DEGLI EROI
Non ci lasceremo sfuggire un'escursione in un più
lontano passato. Spingendoci sulla costa settentrionale, pochi chilometri fuori
città, fino a Pizzolungo-Bonagia:
.sulle sponde solitarie
battute dai marosi del Tirreno
giungevano le vele
di Eroi sopravvissuti
Qui è l'approdo di Odisseo, qui
l'eroe greco incontrò la dolce Nausica, qui l'antro di Polifemo (secondo la
suggestiva tesi di Butler dell'Odissea "siciliana", ripresa fra gli
altri da Pocock, Barrabini. Scammacca): qui, ancora, Enea e la frigia armata
. . . volti a Levante, e preso in poppa
il vento e 'l flutto, a tutta vela il golfo
correndo, fur subitamente a proda
de l'amica riviera. . .
Qui dove, Anchise è sepolto, Enea rinnova le funebri pompe al padre, proprio di fronte al basso e nero Scoglio degli Asinelli che, ancora Virgilio, così descrive:
Qui dove, Anchise è sepolto, Enea rinnova le funebri pompe al padre, proprio di fronte al basso e nero Scoglio degli Asinelli che, ancora Virgilio, così descrive:
... E lunge incontra
a la spumosa riva un basso scoglio
che, da' flutti percosso, è talor tutto
inondato e sommerso. Il verno i venti
vi tendon sopra un nubiloso velo
che ricopre le stelle, e quando è il tempo
tranquillo, ha ne l'asciutto una pianura
tranquillo, ha ne l'asciutto una pianura
ch'è di marini uccelli aprica stanza. . . .
monte Cofano |
Più avanti, lasciato Monte Cofano, una lama immersa nel mare (ai piedi del quale puoi inoltrarti nella grotta di Scurati. con le incisioni lineari attribuite al Paleolitico superiore), seguendo la costa si arriverà a San Vito Lo Capo, la bella spiaggia negli ultimi anni divenuta meta d'obbligo di troppi bagnanti, solo alcuni dei quali affrontano però la fatica di raggiungere, si cammina a piedi,
UN FRULLO DAL MARE
Siamo ancora sull'osservatorio ericino od è ora di dargli un'occhiata
da vicino.
Le citazioni letterarie sul fascino del "sacro monte" sono tante, troppe per questa nostra rapida
carrellata. Tutte celebrano la Dea
della fecondità, della bellezza o dell'amore, che qui regnò: Afrodite por i
Cretosi, gli Elimi e i Greci. Astarte per i Fenicio-Cartaginesi: Venere por i
Romani.
Ericina Venusa
Balza sul Monte l'ora mattutina
Ed il tempio che svetta
solitario
Ad Oriente appare in un velario
D'oro e ne brilla il itelo e la
marina
Tenera e bianca Venere Ericina
Sboccia, lucente, nei suo marmo
pario
Sul grande altare magico rosario
Ecco
un frullo dal mare: il lungo volo
Delle colombe sacre a Citerea
S'alza sui
mirti del montano suolo
Messaggero d'amore per la dea.
(Nino Fici Li Bassi)
De l'ombroso pelago Erice in vetta
eterna ride ivi
Afrodite e impera
e freme tutto amor la benedetta
da lei costiera
(Giosuè Carducci)
... . Allora in cima
dell'ericino giogo il gran delubro
surse a Venere idalia . ..
(Virgilio)
Nel suo tempio-fortezza, messo a capo di una confederazione religiosa
di 17 città siciliane, illuminato dal Fuoco sacro, faro e guida per i
navigami, pellegrini e marinai di tamte razze in suo onore si univano alle sacerdotesse, le "ierodule" (le
sacre serve), a lei lasciando il loro riconoscente dono.
(Per inciso, questo incontrarsi e mescolarsi di genti sembra oggi rinnovarsi,
a distanza di secoli, in un nuovo tempio dell'amore, l'amore per la Dea scienza e per l'umanità, che chiama scienziati di
lutto il inondo al Centro Internazionale di Cultura Scientifica 'Ettore Maiorana".
fondalo, animalo e diretto dal trapanese Nino Zichichi).
Erice: Castello e Torretta Pepoli |
Eriee, città-simbolo di
bellezza, di fede, di cultura, di contemplatiiva quiete, con la sua ovattata
irreale magica atmosfera cui abbandonarsi e perdersi per raccogliersi in se
stessi e ritrovare il senso dell'umana esistenza e della sua continuità!
Erice: lasciarsi abbagliare dagli infocati tramonti che laggiù avvolgono di rutilanti colori Trapani ed il mare d'Africa; aggirarsi per le sue scoscese linde stradine acciottolate, qua e là una chiesa uina delle tante - oltre sessanta ! - erette si direbbe quasi per esorcizzare l'alito incombente della Dea pagana!: bussate ad ogni porta per entrare nei suoi cortiletti fioriti e carpire il batter di ciglia di una giovane donna che dalla Dea ha avuto la grazia di una pudica bellezza: seguire la "strada delle processioni" per scoprire le memorie di ieri racchiuse in edicole, icone ed iscrizioni sacre, misurarsi con la grandiosità delle sue mura innalzale dai Ciclopi, respirare e immergersi nella sua nebbia primaverile, confondendosi col grigio maculato dei muri o col verde delle sue pinete, e spiare l'inseguirsi dei tanti fantasmi del tempo modellati dalle sue volubili folate, e riconoscere Cam e i suoi trogloditi, Ciclopi, Ulisse e Polifemo, Enea ed il re Erice figlio di Venere e di Bute, Ercole - lo straniero - che uccide Erice, e Afrodite con le sue sacerdotesse, e...
Erice: sogno!
Erice: lasciarsi abbagliare dagli infocati tramonti che laggiù avvolgono di rutilanti colori Trapani ed il mare d'Africa; aggirarsi per le sue scoscese linde stradine acciottolate, qua e là una chiesa uina delle tante - oltre sessanta ! - erette si direbbe quasi per esorcizzare l'alito incombente della Dea pagana!: bussate ad ogni porta per entrare nei suoi cortiletti fioriti e carpire il batter di ciglia di una giovane donna che dalla Dea ha avuto la grazia di una pudica bellezza: seguire la "strada delle processioni" per scoprire le memorie di ieri racchiuse in edicole, icone ed iscrizioni sacre, misurarsi con la grandiosità delle sue mura innalzale dai Ciclopi, respirare e immergersi nella sua nebbia primaverile, confondendosi col grigio maculato dei muri o col verde delle sue pinete, e spiare l'inseguirsi dei tanti fantasmi del tempo modellati dalle sue volubili folate, e riconoscere Cam e i suoi trogloditi, Ciclopi, Ulisse e Polifemo, Enea ed il re Erice figlio di Venere e di Bute, Ercole - lo straniero - che uccide Erice, e Afrodite con le sue sacerdotesse, e...
Erice: sogno!
IL SOGNO CONTINUA
Levanzo: la Grotta del Genovese |
Marettimo, la sacra Hiera dei Greci, la Malitimah dei
Saraceni, con le sue fantastiche grotte, il castello di Punta Troia, il suo
mare pescoso. E Favignana. la fenicia Katria, la greca Aegusa(l'isola delle
eapre)
un'isola piana davanti ai porto si stende
non vicino, né molto lontano dalla terra dei Ciclopi,
boscosa, e vi sono capre infinite.
libere: passo d'uomo mai le spaventa
né cacciatori le inseguono
( Omero-Odissea)
la medievale Favignana (dal vento Eavonio), le sue cale, le sue
fortezze in cui languirono alcuni dei migliori uomini del Risorgimento,
immènsa cava di tunfo, strati su strati, "spia"dell'alternarsi
dell'alzarsi e dell'abbassarsi del mare nei millenni, cunicoli e gallerie, un labirinto, incisi
con la 'mannara
' e col
piccone da generazioni e generazioni di cavatori, che hanno donaio il frullo
della loro immane fatica, i "cantuna' (i conci), ad interi villaggi e città di Sicilia.
Poco lungi da Favignana, tra l'Isola Lunga e la costa marsalese, si estende il parco protetto dello Stagnone: una laguna di acqua salmastra ad alto grado di salinità e
temperatura, proprio per lo sbarramento offerto dall'Isoia Lunga che la chiude quasi completamente al mare. Ampia circa 2400 ettari, lunga 11 chilometri e larga 3, dai fondali molto bassi (da mezzo metro a ire), include le isolette di Santa Maria, della Scuola e quella di San Pantaleo, l'antica Mozia, "la filanda", luogo incantato
in cui cogliere e meditare sull'arcano mistero del tempo, fondala dai Fenici diTyro attorno all'800 a.C.,divenuta per la sua posizione strategica e
coimnerciale importante città cartaginese, fu distrutta nel 397a.C.da Dionigi I di Siracusa,a capo dj trecento navi e ottantamila uomini.
Da allora, sepolta nella sabbia, il suo nome sparì dalla storia, finchè in epoca
recente non
fu identificata dall'inglese Giuseppe Whitaker. dando inizio - con Biagio Pace- agli scavi che ci hanno restituito, ancora purtroppo soltanto in parte, le
vestigia e
le testimonianze
(ultima, in ordine di tempo, la statua del "giovane di Mozia") di un ciclo
storico e di una civiltà a noi cosi vicini. "La visita di Mozia
inizia dal puntu di sbarco, verso destra, lungo le poderose mura clie pure non
riuscirono a fermare il nemico ultimo: le porle aperte ai traffici con tutto
il mondo conosciuto: i cimiteri dei morti fenici e dei riti misteriosi : il
tempio della dea (il "thophet", dedicato alla dea madre Tanit, area
sacra dove a lei si sacrificavano, in un primo tempo, bambini e
poi piccoli animali) informati, ma non formati, a quella cruenta
religiosità. E poi il cothon, specchio d'acqua interno alle mura, fatto per
un'inesauribile attività mercantile; le caserme dei soldati: la lunga strada per Birgi, oggi sommersa e un tempo incredibilmente lanciata sul mare; i ruderi
di case ed edifici d'un popolo attivo, libero, poliglotta, aperto a mille
rapporti col
mondo"
(da "Egadi, mare e vita"
di Gin Racheli - ed. Mursia)
AIA MOLA, AIA MOLA
la mattanza |
"Uno dei più emozionanti e suggestivi spettacoli che la vita del mare possa offrire è senza dubbio quello della "mattanza", cioè dell' uccisione dei tonni che, attraverso il complicato sistema delle reti della tonnara, sono stati avviati verso la "camera della morte". Attorno a questa si dispongono in quadrato i natanti della "ciurma" che, ad un ordine del suo capo, il "Rais" .comincia a sollevare, a forza di braccia, l'enorme "coppo" in cui sono imprigionati i mostri guizzanti
Gli uomini accompagnano il movimento cadenzato dei loro corpi con un canto piano, nostalgico, solenne come una
preghiera, la "cialoma di li tunniari" :
aia mola, aia mola, Santu Patri piscatori ...
Il canto marinaro, che è diventato
ansante, selvaggio, prosegue inesorabile sotto il cielo, incamdescente nella
vampa del sole, sopra quel mare dì sangue:
aia mola, aia mola. Santu Patri piscaturi...
ed ecco che all'improvviso ritorna la calma. Il coppo è vuoto, l'ultimo tonno si è allineato nella barca, assieme
agli altri La pesca, per oggi, è finita. Il quadrato dei natanti si apre, si scompone,
le barche si avviano verso terra, col loro prezioso carico.
Gli uomini della ciurma sono stanchi, sporchi di sangue,
irriconoscibili. ma sorrìdono
felici'."
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