venerdì 14 dicembre 2012

il natìo loco

qui si parla di radici (ma non è una nota di botanica...!)

Nel 1988, a Firenze, abbiamo dato vita all'Associazione Culturale Sicilia Firenze. 
Nella fase di "assestamento" sono stati posti  interrogativi riguardanti la «categoria» di emigrato in cui riconoscerci e il tipo dì cultura da ...scegliere. 
Mi pare opportuno richiamare qui di seguito, prima di dedicarmi al mio loco natio, il mio contributo pubblicato, per la rubrica dedicata alle nove province siciliane sul periodico dell'associazione, "Lumie di Sicilia".
Senza evocare !e migrazioni bìbliche di portata storica, direi in par­tenza che tutti, chi più chi meno, volenti o nolenti, borghesi o pro­letari, siamo emigrati in qualche modo «forzati». Nessuno, è vero, ci ha imbarcato su vagoni piombati per i campi di lavoro del "Continente" ma, quali che siano state le motivazioni personali, è un fatto incontestabile che il flusso migratorio interno degli ultimi decenni sia da collegare, per proporzioni e continuità, direttamente alle precarie condizioni di vita delle regioni meridio­nali.
Sì deve peraltro subito aggiungere che tutti, in varia misura, abbia­mo finito per «acclimatarci», svolgendo dignitosamente il nostro lavoro, diventando spesso elemento di propulsione nell'ambito so­ciale in cui ci siamo trapiantanti, allacciando rapporti personali e di gruppo, stabilendo vincoli sentimentali, germinando cioè i «vitic­ci» del nostro vìvere quotidiano in Piemonte, in Lombardia. in To­scana, in qualsiasi altra paese d'Italia siamo potuti approdare. Stabilito quindi che non abbiamo motivi per nutrire complessi di soggezione (la preoccupazione di apparire «clan») e, per contro, atteggiamenti di astio e tentazioni isolazionistiche (il rifugio nel clan), affermata cioè la tenacità e la vitalità dei viticci, qui cade il tema delle «radici».
In botanica, radice èla parte delle piante superiori infissa nel terre­no, dal quale trae alimento mediante gli appositi apparati di cui è provvista.
Il traslato, scontato quanto si voglia ma calzante per le nostre ri­flessioni, viene spontaneo: la radice (rhizà) è la parte più interiore, più viva di noi, quella che ci ha sostenuto nell'infanzia, nella giovi­nezza, nel processo di formazione del nostro essere «pianta»; quel­la che. infissa nel terreno dì Sicilia, di Sardegna, di Toscana o di qualsivoglia posto dei mondo, ha elaborato il nutrimento della no­stra crescita, del nostro esistere; quella che, attraverso il sistema linfatico della memoria, dei semimenti, e se vogliamo del subcon­scio o anche della fantasia, ci porta ancora, finché e affinché la pianta viva, il distillato degli affetti, delle aspirazioni appagate e dei rimpianti, dei ricordi, dei sogni, delle immagini, delle luci, dei suoni diffusi nei recessi dell'io, la creta con cui continuiamo irre­quieti e insoddisfatti a modellare l'ampolla della nostra vita. 
Siamo così arrivati alla CULTURA, all'ordito dei costumi, dei mo­di di vivere, delie istituzioni economiche, sociali, politiche, educati­ve, delle manifestazioni artistiche, religiose, letterarie, del folklore, delle parlale, il patrimonio connine dei «valori» che un gruppo so­ciale «coltiva» e tramanda, su cui s'intessono gli echi dell'infanzia, gli slanci della giovinezza, le esperienze della maturità, la trama cioè dei sottili argentei fili che legano il presente al passato di cia­scuno di noi.
Quando li dicono: -Ma sa che lei non sembra neanche siciliano! -, non compiacertene, diffida (è come quando ad una signora, imbel­lettata ed arzilla, ma di una «certa età», benignamente si concede un «aspetto giovanile»: il più delle volte è una malevolenza'). E se, inconsciamente, ti capitasse, quasi giustificandoti, di balbettare: -Sono nato in Calabria, ma vìvo a Milano da tanti anni -. pentiti e recita subito una poesia nel tuo dialetto, forse potrai ancora salvar­ti!
La sconfessione o la mimetizzazione (che è la stessa cosa) delle pro­prie radici è un atto stupido e non pagante, cosi come la loro affer­mazione non può tradursi in gargarizzanti manifestazioiiì. altret­tanto stupide, di arroganza e di sussiego.
La domanda: Quale cultura scegliere? a questo punto diventa pleo­nastica o soltanto provocatoria: la scelta è già stata fatta il giorno in cui ci siamo incontrati assumendo l'impegno di ravvivare e pro­muovere la conoscenza e la diffusione della «nostra» cultura (è chiaro che, senza questo obiettivo, l'incontro - almeno su un piano comunitario - non avrebbe avuto luogo).
Ma. attenzione! nel perseguire queste finalità non intendiamo in al­cun modo indulgere a quelle manifestazioni di stupidità cui accen­navamo dianzi: non siamo «contro», siamo «per»! meno che mai siamo contro o fuori dal contesto sociale e culturale in cui abbiamo affondato i nostri viticci: al contrario, vogliamo presentare la no­stra cultura, a noi stessi e agli altri, per rafforzare e stabilire legami.presentare la no­stra cultura, a noi stessi e agli altri, per rafforzare e stabilire legami, per tentare di cancellare o almeno attenuare reciproci pregiudizi e diffidenze, non per scontrarci ma per incontrarci («l'incontro delle culture» patrocinato dall'UNESCO). Perché ci sia un incontro, è lapalissiano, occorrono più soggetti, ciascuno con ì «suoi» temi: ebbene, senza velleitarismi e consapevoli dei nostri limiti, chi se non noi stessi, potrà portare a questo incontro la « nostra una cultura che, sia detto senza enfasi ma con fermezza, ha una sua autonomia ed un prezioso patrimonio, fatto di piccole e grandi cose, che le dà pieno titolo per «partecipare», con una propria squadra e sotto una propria bandiera, a questo appuntamenti 
Un'ultima considerazione: la diffusione della nostra cultura è sì un fatto di conoscenza, è sì un fatto di aggregazione spirituale e senti­mentale, è sì anche un atto di amore verso i nostri figli, che non ab­biano a sentirsi «trovatelli», ma è direi soprattutto un vincolante atto di dignità.
Perché, e qui siamo ancora alle radici, il terreno in cui esse sono in­fisse, una volta cosi ubertoso e verdeggiante, è depauperato, dissec­cato, sterile, inquinato. 
Di fronte ad una realtà drammatica, dolo­rosa, mortificatrice che non possiamo e non vogliamo ignorare o minimizzare, noi contrapponiamo (una piccola goccia sì, ma un'indicazione etica) la «storia» di questa terra nelle sue varie espressio­ni, storia che è natura, che è arte, che è lavoro, che è mito, che è lingua, che è costume, che é tradizione, che è vita. 
E non per commiserarci o esaltarci in essa, allineandovi e coltivan­do le memorie antiche per esorcizzare le miserie presenti, quanto piuttosto per cercare in essa, e in nome di essa, la spinta ideale, i germogli di un processo rigeneratore, dal quale non possono «chia­marsi fuori» gli emigrati, forzati o volontari che siano.

TRAPANI 

Tutto è predisposto:tabelle di carico delle valige debitamente numerate e classificate,con l'elenco dei capi di vestiario,biancheria,costumi da bagno, pinne,sandali,cinepresa,occhiali da sole e cianfrusaglie varie che per un mese ci accompagneranno nell'annuale pellegrinaggio turistico-sentimentale alla città natale.
I biglietti del "Canguro" da oltre un mese sono piazzati sul tavolinetto dell'ingresso, in bella vista, a ricordare –se mai ce ne fosse bisogno- la scadenza sempre più vicina.
Per gatti,cani e uccelli, per dirla con Nino Montanti, non c'è problema: non ne abbiamo.
Alle piante penserà lo zelante,anche se non del tutto disinteressato,portiere. La licenza, studiata,concordata e prenotata da oltre tre mesi,è finalmente bollata e firmata. Si parte!
-Rroma,Rroma!- gridava a squarciagola in vista della capitale il buon Angelo Musco,uscito per la prima volta dal paesello.
Io,che sono piuttosto contegnoso,non mi abbandonerò ad incomposte manifestazioni esteriori di entusiasmo o di commozione:coverò dentro di me la feb­bre che mi prende al pensiero del "ritorno" purtroppo fugace,reprimerò quel pizzico di commozione che immancabilmente mi prende alla gola alla vista del Monte Pellegrino indorato dal primo sole del mattino,avamposto di una vetta tanto più cara che d'un tratto ti si staglia davanti,maestosa e solitaria,luminosa o incappucciata,punto di riferimento e traguardo di tanti sogni,amarezze e speranze.
Terra,terra! la mia caravella veleggia a vele spiegate,agile e sicura,verso il porto amico,ad imbarcare un carico impalpabile e prezioso:aria di casa.
                                                                                                    (nota su Trapani Nuova del 1974)


                                                                                                   
Trapani vista da Erice

 DELL'UMANA DEBOLEZZA


Crogiolato dal caldo sole del lido natio, sfiancato da interi pome­riggi e serate impegnati in roventi sfide a "marianna" e tressette ( un bagno di 'paesite' tonico e rinfrescante ) combattute a Baglio Augugliaro, ai piedi della vetta ericina, il tempo delle vacanze estive è volato via senza poter mantenere l'impegno di stilare "in diretta'' le pagine da dedicare ( un trapanese, e chi altri?! ) a Trapani su "Lumie di  Sicilia". 
Lo faremo ora. nella quiete autunnale, affidando al periscopio della memoria e al radar delle emozioni la perlustrazione di luoghi e di immagini che man man affiorano, l'uno chiama l'altra, s'inseguono. s'intrecciano per comporre quello che, umana debolezza, vorremmo riuscisse il più cattivante di questi itinerari dedicali alle città di Sicilia. 
Una provincia, questa di Trapani, vogliamo dirlo a chiare lettere senza infingimenti o falsi pudori, in questi ultimi anni balzata al disonore delle cronache giornalistiche e televisive per "fatti di mafia,": la piovra.
Una realtà drammatica, dolorosa, avvilente, alla quale vogliamo contrapporre la "storia", nelle sue varie espressioni, natura arte economia letteratura religione lavoro mito lingua costume tradi­zione, sintesi e proiezione del vivere e del sentire di una società umana nel corso dei secoli . in cui ritrovare l'orgoglio e la spinta per un autonomo processo dì rigenerazione che ci riporti alla nostra naturale vocazione di popolo operoso e civile. 
Una passeggiata sognata quindi sulle ali del sentimento, dei ricordi e della storia, a cui invitare amici e "forestieri", sottobraccio per le strade, per i vicoli, per le coste, per le isole, per le campagne, per i monti, per i templi millenari di questo estremo lembo d'Italia e di Sicilia, crocevia di antiche civiltà.


IN TERRAZZA A SOGNARE

una stradina di Erice






Saliamo subito ad Erice. u munti (Monte San Giuliano), la soli­taria maestosa montagna sacra, la rocca dei Ciclopi e degli Elimi anfiteatro aperto sul mare di Sicilia, il sofà della luna, l'antico fascinoso borgo, eterea terrazza che si affaccia sulle nuvole del tempo, sorretta dalle poderose mura innalzale ventisette secoli orsono.

A te, Dea. offrirò fiori selvatici 
di questa nostra montagna 
arrampicandomi per tutto il giorno sul colle 
mentre tira un vento che fluttua nei capelli 
gioisco con gli occhi lacrimanti 
come in un mare si mescolano 
ì colori ai colori del mio cuore 
allungo la mano giù all'erica 
e tocco il cielo
(Nat Scamaccca)















Perché è da essa, osservatorio a 360 gradi, che possiamo spaziare sul territorio e sul mare di Trapani, dove veleggiarono i vascelli di tutte le genti mediterranee, dove la storia s'incrociò col mito. 
Ecco, ai suoi piedi,  la città, la falce. Drepanon, fondata da Saturno, Crono, l'implacabile titano che. col favore della notte, tende un agguato al padre Urano, mutilandolo con la falce: un episodio magistralmente descritto da Giuseppe Marco Calvino, massimo poeta trapanese 1785-1833
Trapani: la fontana di Saturno
Sapemu certu di quant'ha c'è ghiornu
Trapani 'un era chi tri casi e un furnu (1)
 chi ssu gran fonti  sempri è statu adornu
di lu nostru Gran Diu Patri Saturnu
Chi quannu ci affirrau lu capostornu,

ed a lu scuru in tempore notturnu

a so patri li mazzari tagghiau

la fauci 'ntra sta spiaggia la jccau 

(1) la fontana con la statua di Saturno, nella zona del porto = n.d.r. )

E ancora: "...quod Saturnus post amputata virilia Coelo patri, illic falcem projecerit..."

Oppure, Trapani la falce di Cerere: "Quidam Drepanum dictum volunt a falce Cereris, quam ibi, quum filiam suam Proserpinam quaereret. amisit" (Servius).

Trapan i= Scheria, la città dei Feaci e della dolce Nausica. la citta dei due mari:

"Poi perverremo alla città, attorno alla quale un muro allo ed un porto da entrambi le parti della città ad uno stretto istmo...{Odissca-IV)
Saline con lo sfondo di Erice
Una prora sul mare. Trapani, da tutti i venti baciata, con sullo sfondo la corolla delle Egadi, bianca delle sue saline punteggia­te dai fantasmagorici superstiti mulini a vento




dove il sale bianco picchia
a ritmi, uno dopo l'altro.
tamburi che rimbombano da mare a mare

(Nat Scamnuicca)



LA SCHEDA

Una lingua di terra, un tempo un piccolo villaggio, fondalo dagli Elimi già prima della caduta di Troia su un arcipelago di isolotti, divenuto città quando nel 260 a.C. il cartaginese Amilcare vi trasportò una parte degli abitanti di Erice. 
E' allo stesso Amilcare che si deve la costruzione delle tre torri (di Levante. Pali e Colombaia ) che con la Torre Vecchia e quella di Porta Ossuna sono rappresentate nello stemma della città.

Nel 241 se ne impadronì il console Lutazio Catulo, dopo avere sconfìtto la flotta punica alle Egadi, riscattando così il rovescio subito otto anni prima, sullo stesso mare, dal console P. Claudio Pulcro ad opera del cartaginese Aderbale (in quest'occasione, come racconta Mario Serraino, rifulse l'eroismo del pescatore trapanese Rodio che di notte, solo e con la sua sola barca, riuscì ad affondare alcune navi romane).

Sotto i Romani non ebbe grande importanza a causa della prossimità di Lilibeo = Marsala (da qui l'accesa colorita rivalità che anima da sempre le due città?!). Subì il saccheggio dei Vandali, il dominio dell'Impero d'Oriente. poi dei Saraceni (che la chiamarono '"Tarabanis"), quindi dei Normanni.

Qui, in un periodo fervido di traffici, convennero le navi che partivano per le crociate in Terra Santa e qui avevano i loro consolati Francesi, Catalani, Genovesi, Veneziani, Pisani e Fio­rentini.

Ad una schioppettata dalla Torre di I.igny, il fortilìzio ("propugnaculum ad urbis tutelam" ) costruito nel XVII secolo sulla punta estrema della città, emerge lo stretto Scoglio del Malconsìglio, l'imbarcazione dei Feacì che Poseido­ne "pietra fece diventare e radicò nel fondo" : su di esso si sarebbero riuniti (come avranno poi fatto in così ristretto spazio?') i capi della congiura contro i Francesi, che doveva portare ai Vespri Siciliani.

Nell'agosto del 1282 vi sbarcò Pietro d'Aragona, venendo dall'Africa, e vi fu accolto come liberatore.

Da notare ancora che nel mare di Trapani, nel 1284, le galee siciliane, comandale da Palmerio Abbate e Ruggero Lauria. sconfissero la flotta francese.

A  lui la città dovette il principio della  sua  prosperità, accresciutasi  per i  favorì di Ferdinando  il Cattolico  che 
( 1478) le accorda il titolo di "invittissima" e di Carlo V (1535), che ne amplia per la seconda volta la cerchia di mura di oriente e le concede speciali privilegi.

I secoli successivi vedono la città partecipe delle alterne e tempe­stose vicende vissute dalla Sicilia sotto le varie dominazioni, fino a giungere all'epopea garibaldina che da queste parti (Marsala, Calatafimi, Salemi) ebbe il suo battesimo.

C'ERA UNA VOLTA



cupola della Chiesa di San Francesco
Ecco Trapani, sposa del mare, "trastullo delle onde", con le sue memorie scritte nei secoli da marinai e artigiani, corallai, scultori, pittori. orafi, fonditori, maestri scalpellini, con le cupole maiolicale di smeraldo e la preziosità barocca delle sue chiese, con i suoi vecchi palazzi e le tracce dell'antico insediamento ebraico, con i suoi quartieri popolari del centro storico, tipicamente mediterra­nei, coi loro vicoli e stradette, con le loro vecchie case che nel "cortile" hanno sistemato il ...salotto comune. A queste stradine, a questi cortiletti, già pulsanti di viva umanità ed ora, dopo la furia della guerra, lasciati a morire per massificati e più lucrosi insediamenti extraurbani, sono legali ì ricordi più struggenti della nostra infanzia (parlo, ovviamente, di quelli della mia generazione- 
Qui, in questa casbah, prendevano vita, si animavano, i tanti bozzetti della quotidianità: la bottega-circolo del barbiere, redazione del gazzettino del quartiere: sulla strada, il deschetto del ciabattino, spesso attorniato da una nutrita schiera di... apprendisti perditempo, a fine giornata trasformato in lizza di accaniti scontri a tressette: davanti alle botteghe la mostra tutta colori delle mercanzie, la frutta, la verdura, i barili del "salatume": la levantina vivacità della pescheria: le abbanniate degli ambu­lanti, urlate strozzate e infine modulate in echi di nenie lontane: l'argentino gioioso scampanellio del gelataio col suo "pozzetto" di delizie montato su un triciclo...chianciti picciriddi: l'irrom­pere di un capraio, con capra al seguito, da cui spillare latte consumato - igiene a parte - sul momento...ma che bollire..!; il pescivendolo, pescatore o "rigattiere", su e giù per vicoli e stradine a decantare la "bellezza" del suo pesce accuratamente allineato sull'apposito cesto, finché, al calar della sera (quando il lampionaio aveva già addumatu ì fanali sulla punta di uno stoppi­no issato in cima ad una pertica). ad ogni giro s'innalzava il tono del suo accattivante messaggio mentre in proporzione diminuiva il prezzo... cicireddu. un chilu mezza lira, un cliilu se' sordi, quattru! sordi un cliilu.comu l’augghi è!...': e la vecchia "sfinciara" dalle cui abili dita prendevano rapida forma, uno dietro l'altro, morbidi anelli di pasta da imbiondire al bollore di fumanti pentole d'olio: e il maestro caramellaio, ieratico sacerdote di un rito affascinante, creatore dì "cannameli carrubba" fragranti di aroma­tiche essenze custodite in preziose ampolline: e quanti ragazzini, a sciami, a rincorrersi su e giù, garruli, vocianti, a piedi scalzi, felici, un tozzo di pane in mano e 'u strummalu nell'altra, pronti a cambiar gioco, sempre lì sulla strada.

E più in là. sulla marina, accanto ai vecchi pescatori intenti a rammendare le reti, il martellare, sulle barche tirale a secco, dei calafati bruciati dalla pece fumante e dal sole: sulla banchina, una montagna di sale da caricare, cardarella dopo cardarella, su una nave battente bandiera straniera, una colonna di uomini a torso nudo, chilo dopo chilo, su e giù tutto il giorno, le carni piagale dal sole dal sudore e dal sale, su e giù fino al tramonto. Al di là della strada, intanto, l'invito di un altro vecchio pescatore ad assaggiare il suo polpo bollito s'incrocia con quello del venditore di fichidindia... venti una lira.


PASTA D’ANCIULI


E' in questi vìcoli che, fra tanti odori più o meno gradevoli, puoi cogliere l'effluvio di  fumanti pignate che partoriranno il piatto più emblematico e tradizionale trapanese, u cuscusu, originario dell'Africa del Nord, ma qui reinventalo con l'innesto del pesce: 
cuscous
"Sulu lu cuscusu...!; Oh Pàtria  mia! / Oh pri lu cuscusu sugnu cu tia. / Né pri lu cuscusu c'è fantasia. /Vinissi d'Africa, / vinissi d'Asia, / vegna d'America, / di Francia e Spagna, / pri mia lu cuscusu / è 'na cuccagna./ Oh pasta d'anciuli / s'ogni vuccuni / chiama d'un subitu / lu  carrabuni (doccione per vino) / D'ogni autru  pregiu / nun  mi nni ncaricu, / di chissu sulu mi nni prevaricu. / Sia dittu a gloria di stu Paisi,/ e sempri vivanu li Trapanisi, / e nta  li tanti prisi / fatti a li turchi cani/ di tesori africani,/ chi sempri si
                                                                              lodata/ la grata, prilibata, cuscusata
                                                                                                                           (Giuseppe Marco Calvino).






LA NOTTE DELLE ANTICHE MEMORIE

E qui ancora, il Venerdì Santo, ha vita la lunga processione, quasi 24 ore, dei venti gruppi lignei raffiguranti la passione e la mortdi Cristo: " i Misteri", quasi un bisticcio di parole per indicare insieme il significato religioso e quello corporativo (il mestiere) collegato alla tutela di ciascun gruppo assunta fin dal XVII secolo da ciascuna categoria di artigiani e lavoratori delia città.
un gruppo dei Misteri: "L'arresto"
Parlando di essi, in ogni trapanese, grande o piccino, ateo e credente, residente o emigrato, puoi cogliere un luccichio umido degli occhi, la scintilla di un fuoco mai spento, covato dentro sotto la cenere dell'apatia e del distacco esteriori, la fiaccola accesa dal nonno del nonno del nonno, secoli fa. là sui bastioni delle Mura di Tramontana, sulla Torre di Ligny,.sull'isoletta della Colombaia (qui dove, volando a stormi, calando dall'alto si rifugiavano le bianche colombe, consacrate nel tempio di Venere ericìna. per segnare l'inizio delle leste Anagogie), la fiaccola accesa sulle cupole delle chiese settecentesche, sugli scogli e sulle barche veleggiami sul mare, un lume che si affaccia ad ogni finestra, ad ogni balcone, amorevolmente portato da un vecchio, da una madre, da un bambino, un falò scoppiettante alimentato da mille mani in ogni strada, in ogni vicolo, nei meandri nei quali ogni anno si addentrano e si attardano i Misteri, i Misteri della Passione di Gesù, i Misteri della vita di una città, di una comunità che in essi ritrova le sue sparse radici.
Lo stesso fervore che anima il  secolare culto della Madonna di Trapani, la stupenda statua marmorea di Nino Pisano, qui approdata in circostanze  circonfuse di leggenda, collocata nel Santuario che sorge "fuori porta", menttre il suo vecchio convento raccoglie le preziose opere e i cimeli del Museo Pepoli, fra cui i "pezzi" usciti, dal '600 all'800, dalle botteghe artigiane dei corallai e degli orafi trapanesi.
Per inciso, altra presenza toscana a Trapani è costituita dalla "Madonna degli Angeli", terracotta invetriata di Andrea della Robbia, collocata nella Chiesa di S.Maria di Gesù.


LE VELE DEGLI EROI
Non ci lasceremo sfuggire un'escursione in un più lontano passato. Spingendoci sulla costa settentrionale, pochi chilometri fuori città, fino a Pizzolungo-Bonagia:
.sulle sponde solitarie
battute dai marosi del Tirreno
giungevano le vele
di Eroi sopravvissuti 

Qui è l'approdo di Odisseo, qui l'eroe greco incontrò la dolce Nausica, qui l'antro di Polifemo (secondo la suggestiva tesi di Butler dell'Odissea "siciliana", ripresa fra gli altri da Pocock, Barrabini. Scammacca): qui, ancora, Enea e la frigia armata
                                                 . . . volti a Levante, e preso in poppa
                                                  il vento e 'l flutto, a tutta vela il golfo
                                                     correndo, fur subitamente a proda
                 de l'amica riviera. . . 

Qui dove, Anchise è sepolto, Enea rinnova le funebri pompe al padre, proprio di fronte al basso e nero Scoglio degli Asinelli che, ancora Virgilio, così descrive:
                                    
                                              ... E lunge incontra
                                              a la spumosa riva un basso scoglio
                                              che, da' flutti percosso, è talor tutto
                                              inondato e sommerso. Il verno i venti
                                               vi tendon sopra un nubiloso velo
                                             che ricopre le stelle, e quando è il tempo
                                               tranquillo, ha ne l'asciutto una pianura
                                                                                                    ch'è di marini uccelli aprica stanza. . . . 


monte Cofano

Più avanti, lasciato Monte Cofano, una lama immersa nel mare (ai piedi del quale puoi inoltrarti nella grotta di Scurati. con le incisioni lineari attribuite al Paleolitico superiore), seguendo la costa si arriverà a San Vito Lo Capo, la bella spiaggia negli ultimi anni divenuta meta d'obbligo di troppi bagnanti, solo alcuni dei quali affrontano però la fatica di raggiungere, si cammina a piedi, la Riserva dello Zingaro, compresa fra San Vito e i Faraglioni di Seopello, parco naturale sul mare appena in tempo strappato alle mire di palazzinari ed alle scorrerie dei "turisti".







UN FRULLO DAL MARE
Siamo ancora sull'osservatorio ericino od è ora di dargli un'oc­chiata da vicino.
Le citazioni letterarie sul fascino del "sacro monte" sono tante, troppe per questa nostra rapida carrellata. Tutte celebrano la Dea della fecondità, della bellezza o dell'amore, che qui regnò: Afrodite por i Cretosi, gli Elimi e i Greci. Astarte per i Fenicio-Cartaginesi: Venere por i Romani.
                                                                                              
                                                                                              Ericina Venusa
Balza sul Monte l'ora mattutina 
Ed il tempio che svetta solitario 
Ad Oriente appare in un velario 
D'oro e ne brilla il itelo e la marina 
Tenera e bianca Venere Ericina
Sboccia, lucente, nei suo marmo pario 
Sul grande altare magico rosario 
Erice: il Tempio di Venere

Vivo di olezzi e tremolii di brina. 
Ecco un frullo dal mare: il lungo volo 
Delle colombe sacre a Citerea 
S'alza sui mirti del montano suolo 
Messaggero d'amore per la dea.
(Nino Fici Li Bassi)

         
         De l'ombroso pelago Erice in vetta 
         eterna ride ivi Afrodite e impera 
         e freme tutto amor la benedetta 
         da lei costiera
                                                        (Giosuè Carducci)
                                            

                            ... . Allora in cima
                      dell'ericino giogo il gran delubro
                                                                                                                         surse a Venere idalia . ..
                                                    
                                                                                                         (Virgilio)
Nel suo tempio-fortezza, messo a capo di una confederazione religiosa di 17 città siciliane, illuminato dal Fuoco sacro, faro e guida per i navigami, pellegrini e marinai di tamte razze in suo onore si univano alle sacerdotesse, le "ierodule" (le sacre serve), a lei lasciando il loro riconoscente dono.
(Per inciso, questo incontrarsi e mescolarsi di genti sembra oggi rinnovarsi, a distanza di secoli, in un nuovo tempio dell'amore, l'amore per la Dea scienza e per l'umanità, che chiama scienziati di lutto il inondo al Centro Internazionale di Cultura Scientifica 'Ettore Maiorana". fondalo, animalo e diretto dal trapanese Nino Zichichi).
Erice: Castello e Torretta Pepoli
E i pellegrinaggi continuarono anche in epoca cristiana, fino a quando il culto pagano non fu definitivamente soppiantato da quello per la Madonna di Custonaci, oggetto di solenni feste annuali, il cui scopo (come ci riferisce un'antica cronaca riportala dallo storico ericino Vincenzo Adragna) altro non era che di " extirpari et radicibus distrudiri lo concorso grande della genti le quali venivano a vedere lo tempio della Dea Venus. e di tando fino alla presente jornata s'have fatto tale solemnitate in honorc et riverenza di nostra Signora di mezza agosto, facendosi per tutti i cristiani. ogn'anno con devote orationi nella detta solennità d'un vespro all'altro di detta Maggióre Ecclesia alle nove croci esistenti nel piano di detta Ecclesia nove viaggi, visitazioni confessi e contriti, per le quali si godono dette infinite, pena, colpa et remissione.'
Eriee, città-simbolo di bellezza, di fede, di cultura, di contemplatiiva quiete, con la sua ovattata irreale magica atmosfera cui abbando­narsi e perdersi per raccogliersi in se stessi e ritrovare il senso dell'umana esistenza e della sua continuità! 
Erice: lasciarsi abbagliare dagli infocati tramonti che laggiù avvolgono di rutilanti colori Trapani ed il mare d'Africa; aggirarsi per le sue scoscese linde stradine acciottolate, qua e là una chiesa uina delle tante - oltre sessanta ! - erette si direbbe quasi per esorcizzare l'alito incombente della Dea pagana!: bussate ad ogni porta per entrare nei suoi cortiletti fioriti e carpire il batter di ciglia di una giovane donna che dalla Dea ha avuto la grazia di una pudica bellezza: seguire la "strada delle processioni" per scoprire le memorie di ieri racchiuse in edicole, icone ed iscrizioni sacre, misurarsi con la grandiosità delle sue mura innalzale dai Ciclopi, respirare e immergersi nella sua nebbia primaverile, confonden­dosi col grigio maculato dei muri o col verde delle sue pinete, e spiare l'inseguirsi dei tanti fantasmi del tempo modellati dalle sue volubili folate, e riconoscere Cam e i suoi trogloditi, Ciclopi, Ulisse e Polifemo, Enea ed il re Erice figlio di Venere e di Bute, Ercole - lo straniero - che uccide Erice, e Afrodite con le sue sacerdotesse, e... 
Erice: sogno!

IL SOGNO CONTINUA

Levanzo: la Grotta del Genovese
Capitano giornale magiche, soprattutto in primavera e in autunno, quando dalla terrazza encina, ai tuoi piedi, il mare ti presenta su un piatto di cobalto, in splendida nudità, ti pare di toccarle con mano, l'omaggio di tre sue magnifiche creature, Favignana. Levanzo e Marettimo: le Egadi. Sentinelle avanzate sul mare di Trapani, rifugio millenario di uomini (e poi base ideale di pirati), che nelle loro grotte hanno trascorso l'esistenza, lasciandovi a futura meniona il loro messaggio e le testimonianze di un'avven­tura vissuta di caccia e di pesca, con e contro la natura, al di là della storia: per noi, hanno prima (undicimila anni fa) inciso, e poi (novemila anni fa) dipinto, sulla roccia, figure di animali e di uomini (graffiti e dipinti della Grotta-suntuario del Genovese nell'arida Levanzo).
Marettimo, la sacra Hiera dei Greci, la Malitimah  dei Saraceni, con le sue fantastiche grotte, il castello di Punta Troia, il suo mare pescoso. E Favignana. la fenicia Katria, la greca Aegusa(l'isola delle eapre)

un'isola piana davanti ai porto si stende
non vicino, né molto lontano dalla terra dei Ciclopi,
boscosa, e vi sono capre infinite.
libere: passo d'uomo mai le spaventa
né cacciatori le inseguono
                                                                      ( Omero-Odissea)


la medievale Favignana (dal vento Eavonio), le sue cale, le sue fortezze in cui languirono alcuni dei migliori uomini del Risorgi­mento, immènsa cava di tunfo, strati su strati, "spia"dell'alternarsi dell'alzarsi e dell'abbassarsi del mare nei millenni, cunicoli e gallerie, un labirinto, incisi con la 'mannara ' e col piccone da generazioni e generazioni di cavatori, che hanno donaio il frullo della loro immane fatica, i "cantuna' (i conci), ad interi villaggi e città di Sicilia.

"il giovinetto di Mothia"
LA FILANDA
Poco lungi da Favignana, tra l'Isola Lunga e la costa marsalese, si estende il parco protetto dello Stagnone: una laguna di acqua salmastra ad alto grado di salinità e temperatura, proprio per lo sbarramento offerto dall'Isoia Lunga che la chiude quasi completamente al mare. Ampia circa 2400 ettari,  lunga 11 chilometri e larga 3, dai fondali molto bassi (da mezzo metro a ire), include le isolette di Santa Maria, della Scuola e quella di San Pantaleo, l'antica Mozia, "la filanda", luogo incantato in cui cogliere e meditare sull'arcano mistero del tempo, fondala dai Fenici diTyro attorno all'800 a.C.,divenuta per la sua posizione strategica e coimnerciale importante città cartaginese, fu distrutta nel 397a.C.da Dionigi I di Siracusa,a capo dj trecento navi e ottantamila uomini.
Da allora, sepolta nella sabbia, il suo nome sparì dalla storia, finchè in epoca recente non fu identificata dall'inglese Giuseppe Whitaker. dando inizio - con Biagio Pace- agli scavi che ci hanno restituito, ancora purtroppo soltanto in parte, le vestigia e le testimonianze (ultima, in ordine di tempo, la statua del "giovane di Mozia") di un ciclo storico e di una civiltà a noi cosi vicini. "La visita di Mozia inizia dal puntu di sbarco, verso destra, lungo le poderose mura clie pure non riuscirono a fermare il nemico ultimo: le porle aperte ai traffici con tutto il mondo conosciuto: i cimiteri dei morti fenici e dei riti misteriosi : il tempio della dea (il "thophet", dedicato alla dea madre Tanit, area sacra dove a lei si sacrificavano, in un primo tempo, bambini e poi piccoli animali) informati, ma non formati, a quella cruenta religiosità. E poi il cothon, specchio d'acqua interno alle mura, fatto per un'inesauribile attività mercantile; le caserme dei solda­ti: la lunga strada per Birgi, oggi sommersa e un tempo incredi­bilmente lanciata sul mare; i ruderi di case ed edifici d'un popolo attivo, libero, poliglotta, aperto a mille rapporti col mondo" (da "Egadi, mare e vita" di Gin Racheli - ed. Mursia) 


AIA MOLA, AIA MOLA
la mattanza
Ma torniamo a Favignana. famosa soprattutto per la sua tonnara che, insieme alle altre calate lungo la costa trapanese, dava vita ad una fiorente industria.
La cattura del tonno è sì crudele spettacolo di sangue, ma si lega anche alla primitiva lotta dell'uomo per la sopravvivenza, che nel corso dei secoli è diventata sagra corale, sacrale. Ecco come ci viene descritta in una monografia edita nel 1969 dall'Ente Provinciale per il Turismo di Trapani: 
"Uno dei più emozionanti e suggestivi spettacoli che la vita del mare possa offrire è senza dubbio quello della "mattanza", cioè dell' uccisione dei tonni che, attraverso il complicato sistema delle reti della tonnara, sono stati avviati verso la "camera della morte". Attorno a questa si dispongono in quadrato i natanti della "ciurma" che, ad un ordine del suo capo, il "Rais" .comincia a sollevare, a forza di braccia, l'enorme "coppo" in cui sono imprigionati i mostri guizzanti
Gli uomini accompagnano il movimento cadenzato dei loro corpi con un canto piano, nostalgico, solenne come una 
                                   preghiera, la "cialoma di li tunniari" :
aia mola, aia mola, Santu Patri piscatori ...
la Maronna parturienti. .  Gesù Cristu nna li mari ...,

La camera della morte sale lentamente, col suo enorme carico: le acque cominciano a fremere, qualche pinna taglia velocissima la cresta dell'onda e subito si risommerge, qualche spruzzo di spuma raggiunge già le imbarcazioni. Lo sforzo degli uomini si moltìplica, la patetica nenia ne sottolinea ancora la cadenza. Ora lo spettando assume una grandiosità senza pari: lo specchio d'acqua, che va inesorabilmente restringendosi, è diventato tea­tro di una  lotta furibonda. Prima uno, poi due, dieci, cento tonni s'alzano a mezzo fuori dell' onda bianca di spuma, si accavallano, si urtano. si scavalcano, puntano feroci contro le reti, contro le barche, contro gli uomini, ricadono nell'onda che sì arrossa, si dibattono impazziti nel fondo della rete, immane groviglio di corpi convulsi. Già i primi tonni, arpionati ed afferrati per le branche, per le pinne, per la coda, vengono sollevati di peso e gettati sanguinanti nel fondo delle barcacce, dove si dibattono ancora e sferrano terribili colpi di coda e saltanonello spasimo orribile dello morte.
Il canto marinaro, che è diventato ansante, selvaggio, prosegue inesorabile sotto il cielo, incamdescente nella vampa del sole, sopra quel mare dì sangue:
aia mola, aia mola. Santu Patri piscaturi...
ed ecco che all'improvviso ritorna la calma. Il coppo è vuoto, l'ultimo tonno si è allineato nella barca, assieme agli altri La pesca, per oggi, è finita. Il quadrato dei natanti si apre, si scompone, le barche si avviano verso terra, col loro prezioso carico.
Gli uomini della ciurma sono stanchi, sporchi di sangue, irriconoscibili. ma sorrìdono felici'."

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