il sogno
NELLE VALLATE DEL
"LAMPIONE GRANDE"
Balenò, una sera di luna in quintadecima, il ricordo di un'altra
quintadecima. Ritrovarsi occhi di stupore, nel guardare. Lungo il filo delle
colline rotolava qualcosa. Svanì. Mi diedi appuntamento per i trentacinque, la
mezzana età dantesca; ne avevo in meno, di anni, quante le dita di due mani.
Oggi, ottemperante a un rito,
onoro quell'impegno e pubblicoLa luna (in edizione limitata e numerata, impreziosita da
un'acquaforte, per amici e sodali, secondo un'ostentata moda di riservatezza,
con la "consegna del silenzio" ovviamente e di "non farne
strepito" come s'usa).
Scorci, indovinelli, l'attesa di mio padre, al focolare
mia madre, il gioco irrequieto a "olio caldo" con fratelli fratellini
spinte sgomitate, Naticchia, sibili di crisomele, all'imbrunire la luna.
Quella luna accesa, dilatata
fuor di misura, occupata da sagome cangianti, mi sembra, ora come allora, a un
palmo dalle mobili e incurvanti colline, di poterla toccare con mano. 11 segreto desiderio di sempre. Ma il
corpo celeste non c'entra. Il movimento.
E'
l'infanzia che mi pare di abbracciare con le sue dolci iconi.
Tempo non v'è per la nostalgia. E' solo uno sguardo. Un
impegno onorato. L'adulto che porta rispetto al bambino. La vita è una escena en el mundo.
I
La luna è contadiècima,
pirchi tri quarti fa?
Li misi sunnu dùdici,
pirchi unnici su?
I
- La luna è quintadecima,
- La luna è quintadecima,
come mai tre quarti fa?
I mesi sono dodici,
come mai undici sono?
II
Appujatu a la finestra,
è carma la sirintina.
Lu
pinzieri vola sulu
a quann'era nicu a Buòvu.
Di ddru tiempu agghjiri ora
troppu
assà nn'à macinatu
lu mulinu di farina.
Cincu, deci e na vintina:
quantu guai
aju passatu.
Lu rricuordu mi cunzola.
II
III
Appoggiato alla finestra,
è calma la serata,
i pensieri vanno, soli:
io ero piccolo, a Buovo.
Da quel tempo fino ad oggi
proprio molta ne ha macinato
il mulino, di farina.
Cinque, dieci e una ventina:
quanti guai ho già passato.
II ricordo mi rincuora.
III
La jurnata di calura
junta ggià è a lu scurari,
du cippiddra, quattru steddri
e s'addruma lu fucularu.
Ddra vicinu situata,
la finestra era stritta,
e jucannu a vògliu calla,
comu pàssari affacciati,
nni mintivamu a taliari.
Ogni tantu scoppia e grida
quarchi gruppu di ristuccia:
arrisanta na faiddra,
ma nun c'è di si scantari:
nterra arriva cinniri.
junta ggià è a lu scurari,
du cippiddra, quattru steddri
e s'addruma lu fucularu.
Ddra vicinu situata,
la finestra era stritta,
e jucannu a vògliu calla,
comu pàssari affacciati,
nni mintivamu a taliari.
Ogni tantu scoppia e grida
quarchi gruppu di ristuccia:
arrisanta na faiddra,
ma nun c'è di si scantari:
nterra arriva cinniri.
III
La giornata di calura
La giornata di calura
giunta ora è all' imbrunire,
cepparelli e legna secca:
viene acceso il focolare.
Là vicino situata,
era stretta la finestra,
e giocando all'«olio caldo»,
come passeri affacciali,
restavamo noi a guardare.
Ogni tanto scoppia e grida
qualche groppo di restuccia:
salta in alto una favilla,
non c'è nulla da temere:
a terra arriva cenere.
Mentri vuddri la pignata
ma ma' un dubbiu nn'apprisenta
di l'antichi arrigurdatu:
- Li caminanti eranu quattru,
pirchi tri nn'arrivaru?
L'ùsciula era chjina,
pirchi mezza arriva?
Aju un cannistru di cirasi,
a la sira li nièsciu
a la matina li trasu.
Chi su?
IV
Mentre bolle la pignatta
mamma un "dubbio" ci propone
dagli antichi tramandato:
-I camminami erano quattro,
come mai tre ne arrivarono?
L'usciola era piena,
come mai ne arrivò metà?
Ho un canestro di cerase,
la sera fuori le metto,
al mattino le rientro.
Cosa sono ?
v
Talìa ccu n'uocchju intra
lu vuddru si si jetta,
ccu
ll'antru lu stratuni:
- Cu cci pari?-.
Po' si vonta, ccu lu spitu,
cc'è la vampa di chjavari.
VI
V
Guarda con un occhio dentro
se il bollore fuori si getta,
con l'altro lo stradone:
- Nessuno si vede? -.
Poi si volta, con lo spiedo,
la vampa a ravvivare
VI
Camulia ppi la fami
di la casa lu cacanidu,
e ma ma' lu joca e dici:
- Batti manuzzi ca veni papà,
porta li cosi e li minti ccà.
Luna, luniddra,
lu pani a feddra a feddra,
scocca di ggigliu,
mmaculateddra-.
Nn'allustranu li vampi
arriminati
di lu fucularu.
Cc'è silenziu a bbanna d'intra;
fora...na paci di Paradisu.
VI
Camola, per la fame,
della casa il cacanido,
mamma giuoca, e a lui dice:
- Batti manucce che viene papà,
porta le cose e le mette qua.
Luna, lunella,
il pane a fetta a fetta,
fiocco di giglio,
immacolatella.
C'illuminano le vampe rimenate
del focolare.
Ci silenzio in casa, dentro:
fuori, pace di paradiso.
VII
La cani abbaja a festa,
si
senti po' friscari.
- Va, Naticchja, va' ala rrobba,
diccillu a la patruna,
la pasta pò catari.
VII
La cagna abbaia a festa,
si sente poi fischiare.
- Vai, Naticchia, vai a casa,
dillo alla padrona,
che la pasta può calare.
VIII
A piezzu a piezzu si senti e nun si senti
(l'accumpagna
n'orchestra di griddri!)
un muòrsu di canzuna a sirinata.
- Calàmmucci la pasta, arriva lu
papà.
VIII
A mano a mano, si sente e non si sente,
(l'accompagna un'orchestra di grilli!),
un pezzo di canzone in serenata.
- Caliamo, ora, la pasta, arriva papi
IX
- Taliàti ora unn'è juntu.
- Juntu è a lu pignu granni...
. Cuddrà. Si vidi. Affaccia.
- La nuci ora
l'ammùccia.
- Sta acchjanannu la muntata,
cc'è ancora d'aspittari:
ddra la mula va sirrata.
- E' iddru! - E' a lu viuòlu.
- Chi porta nni li vièrtuli?
• Ch'è bellu! a lu paisi
li cosi nn'accattà.
- S'à fatta mezza strata.
- La zzinzula surpassa.
- Calàmmucci la pasta.
- Sièmmu tutti.
IX
- Guardate, ora dove è giunto?
- Giunto è al pino grande.
- Sparì. - Si vede. - Appare.
- Il noce lo nasconde.
- Sta facendo la montata,
c'è ancora d'aspettare:
là, la mula fa fatica.
- Si vede! - E' al viottolo.
- Il lume (prendete), il petrolio.
- Che porta nelle sacche?
- Ch'è bello! Al paese
le cose ci ha comperate!
- E' a metà strada.
- Lo zizzolo sorpassa.
- All'olivo i giunto.
- Caliamo la pasta.
- Si mangia finalmente questa sera.
- Ci siamo tutti.
X
Jitici a l'incuòntru ccu la luna.
X
Andategli incontro con la luna.
Racalmuto, settembre 1983
LUNA, TU...
La luna, in quintadecima, è gravida: stanca ma
sorridente, si sdraia sulle colline e sui monti delle nostre contrade per riposare,
solo poche ore, e per poter conversare con i terrestri che ne abbiano
voglia....chi ha detto che la luna è muta?!
Piero Carbone, dal canto suo, la luna la insegue da anni, da quando era
bambino: ora come allora gli sembra di poterla toccare con mano. E la luna, paziente, sta al
gioco: non si lascia afferrare (non può concedersi, lei dea, ad un mortale, fosse
anche un poeta!), ma gli parla del suo ininterrotto solcare, da una
quintadecima all'altra, le strade del firmamento (il canestro di stelle, cerase, messe fuori al calar del
sole... che il calore non abbia a guastarle). Con lui s'intrattiene sui tempi
del Buovo, a riproporgli i "dubbi" tramandati dai nonni ai nipoti....Se il curatolo ha mandato
alla moglie una bella forma di formaggio, (la luna "contadecima" )
come mai strada facendo si è ridotta a tre quarti? e dei dodici tari (li misi)
perché il garzone ne presenta solo undici? E se il capretto aveva quattro
"caminanti", che fine ha fatto il quarto cosciotto? E perché il
barilotto di vino (l'usciola) è pieno a metà?
(E' sempre il mariolo che ha fatto man bassa, tradendo
la fiducia del buon curatolo...)
Il Buovo...là dove, a un palmo dalle mobili e
incurvanti colline che gli fanno corona, la luna piena, la dea ingravidata
dal dio Sole di nascosto, al primo incontro di novilunio, mostra ora con gioia
il frutto del suo ventre pregno di luce impalpabile, scrigno di sogni, custode
dei fotogrammi di giorni lontani che, a richiesta, è pronta a proiettarci,
basta prenderla per il suo verso, sullo schermo del presente, solo nelle notti
di quintadecima però.
Batti manuzzi ca veni papà, porta li cosi e li minti ccà: qua dove all'imbrunire, il
focolare acceso, scoppiettante d'innocue faville che a terra si fanno cenere, allustra i volti dei passerotti, cacanidu (l'irripetibile plasticità del
nostro idioma!) in testa, che si contendono nel vigoroso gioco éeWuogliu callu, fuori tu che mi ci metto io, il
davanzale di un'angusta finestra da cui spaziare fuori, sul loro piccolo
grande mondo, che più tardi la luna, immacolata ciocca di giglio, illuminerà a
giorno.
Bolle la pentola sotto l'occhio vigile di ma ma' che bada a tener viva la
fiamma, mentre le vedette, rese più attente dall'avanzare della sera, aguzzano
la vista fino al pino grande, e poi giù giù al noce, allo zizzolo, all'olivo,
le tappe del "suo" messianico rientro, reso visibile da lu lumi a petroliu.
Torna papà dal "Paese", il luogo di cuccagna
che riempie le bisacce di tante "cose" da mintiri ccà, trasportate a
fatica da una mula "serrata" dai finimenti là dove l'erta s'impenna
in vista della casa, la rrobba.
"Naticchia" gli va incontro scodinzolante e
festosa, per riportare l'atteso messaggio: la pasta po' calari! Cacanidu, che
non ha dubbi sul suo diritto a sfamarsi, è sempre più impaziente....il pino
grande, il noce, la salita, lo zizzolo, l'olivo, uffa, ma quanto ci vuole?!
Eccolo, lui è a casa: siemmu tutti. I bambini, più tardi, al suo
affacciarsi sulle colline in quintadecima, affideranno alla madre luna questo
arcadico affresco della loro infanzia.
Il mio dipinto, un labile
acquarello, ricorda altri scenari, lambiti dalla brezza del mare, lontani dal
solenne silenzio della campagna con il sottofondo di orchestre di grilli:
vociare di ambulanti che richiama nenie di terre e di tempi lontani, accenti di
marinai sbarcati da altri lidi a caricare montagne di sale, crocchi di
ragazzini sciamanti in strette viuzze di popolati quartieri dove la luna a
stento riesce a fare capolino; altri tempi, più remoti, altre memorie affidate
ad un lampione acceso all'imbrunire dal vecchio lampionaio, mentre un pescatore
gira intorno per svendere il suo ultimo cesto di pesci nel turbinio dello
scirocco o allo sciabolare della tramontana.
Il mio lampione è scomparso (morte violenta fu), ma il
mio dipinto, a ben pensarci, deve pur essere finito da qualche parte: che non
sia anch'esso planato nelle vallate del Lampione Grande, fra le "sagome
cangianti" del disco rosso-arancione di Piero Carbone?!
Dalle mie parti, quando è in quintadecima, la luna
suole indugiare all'ingresso del Tempio di Venere Ericina (con la quale, si
dice, ha un rapporto privilegiato di ruffianeria.... possiamo ben immaginare
cosa tramino insieme, con la complicità delle incantate notti siciliane!): seguendone
meno distrattamente le mosse, chissà che, una volta o l'altra, non possa
rendermi l'acquerello del mio vecchio lampione!.
Piero Carbone, sì che è stato fortunato (ma lui conosce
il linguaggio della luna!): affacciato ad altra finestra, il suo videotape l'ha
ritrovato una sera di luna, naturalmente in quintadecima; se l'è rigirato per
dieci anni, le dita di due mani, ed ora si degna di offrircelo in visione
privata (un'ostentata moda di riservatezza": sono parole sue), rendendoci
partecipi del "qualcosa" che ancora rotola lungo il filo delle
colline della sua infanzia.
Per lui, sulla escena de elmundo, la luna non si è spenta.
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