All’anno
venturo! cautamente condizionato da
uno scaramantico “Si mi cc’attrovi! ” : questo era
stato il congedo dell’estate 2001 dagli amici -“laggiù”-, animatori e partecipi
in misura non trascurabile delle vacanze siciliane. (vedi sul blog: "Le genovesi di Erice")
Quindi,
forza e coraggio! Anche quest’ anno il “pezzo” s’ha da scrivere.
Cominciamo
dalla coda, dal rientro (inframmezzato da un’interessante sosta “culturale”a
Napoli e Caserta, tanto per restare nel Regno delle Due Sicilie!), la nota
“triste”, cui fa subito da “aperitivo” una montagna di corrispondenza che, fra
tanta insulsa e non richiesta pubblicità, t’inchioda subito alla prosaica cotidianità,
a cominciare dal dover “rifare l’orecchio” alla parlata fiorentina (e...non c’è
peggior sordo, con quel che segue!).
C’è...ancora
il desso!, l’Ente Acquedotti Siciliani, duro di comprendonio pur’esso, a cui
rimbeccare per l’ennesima volta (“una questione di principio”!)
l’inconsi-stenza di un presunto credito di 54.000 lire (la pretesa originaria
era di ben 950.000 lire!) per presunta
“eccedenza” (!) di consumo d’acqua nel 1996(!).
Non
poteva mancare l’ineffabile amministratore che, esattamente come lo scorso anno
di questi tempi, sollecita il versamento della seconda rata delle spese
condominiali, da me saldate -unico fra i condomini- (il solito fesso!) già a
fine giugno.
Com’era
prevedibile, il Comune di Firenze non si decide, e ti pareva!, a rimborsarmi
l’oltre mezzo milione di lire per I.C.I. versata in più negli ultimi tre anni
(un errore materiale di incolonnamento delle cifre nel calcolo della detrazione
per prima casa): e ben mi stia, manco la mia nipotina di prima elementare sbaglierebbe
una sottrazione così... elementare!
Un
altro (!) errore a cui rimediare: per il versamento della tassa sui rifiuti
solidi, invece del bollettino prestampato per la prima rata ho usato quello
della seconda... viene spontaneo sospirare: e ancora ch’emu vistu...!
E
c’è da respingere, “così come pervenuto”, il solito vaglia da 50.000 lire che,
da vent’anni, puntualmente in agosto, manda quel tizio da San Ciro per presunta gabella di affitto di un terreno
che non mi sono mai sognato di affittargli.
Da
respingere anche il pressante invito (“questo è il sesto sollecito”!) ad
abbonarsi ad una rivista finanziaria che, non
richiesta, continuano a
mandarmi setti-manalmente.
Il
frigorifero, di colpo, “gela” e, al solito, il computer fa le bizze -sarà
vecchiaia pure la sua?- bloccandosi per presunta “memoria insufficiente” o, per
contro, ri-partendo sua sponte dopo averlo spento (pero!
inavvertitamente è venuto fuori un anagramma: sponte-spento!).
Come
se non bastassero a farti piom-bare nello scoramento il frigorifero ed il
computer, anche la stagione fa le bizze e ti tocca accendere, di settembre, ci
pensi!, la caldaia del riscaldamento.
Sarebbe
il caso di dire: e che vuoi più dalla vita?!
Per fortuna il ritorno ci offre la
contropartita: i nipotini.
Lui
(il “patatone” di casa) è arrivato in quarta (di già?!), lei (la sbirra!)
è entrata in prima e rivendica pure lei il diritto alla “paghetta” settimanale,
rammaricandosi (quasi pretendendo... gli arretrati!) per i tre anni...
“perduti” rispetto al fratello (trascurando il fatto che questi è nato,
appunto, tre anni prima di lei!).
Ma
torniamo alle vacanze siciliane, lunghe (quattro mesi) e appaganti.
Sì,
la mia compagna (mia moglie, preci-siamo!) qualche volta, esasperata, voleva
scapparsene per il vento che, scirocco o maestrale che fosse, ci ha
accompagnato per tutta la stagione... ma
dove vai, come la mettiamo con le alluvioni del Nord?
Per
contro, noi “nordisti” abituati a scialacquare, qui abbiamo dovuto trepidare
giorno per giorno -senza per fortuna mai arrivare all’irreparabile- per
l’inesora-bile calare del livello dell’acqua nella cisterna, in attesa del
“fruscio” liberatorio.
E’ vero,
l’uva di una volta te la puoi scordare: è scomparsa l’uva Sicilia, ora impera
l’uva Italia, ma in compenso vuoi mettere le scorpacciate di fichi? (e poi
piagnucoli che la bilancia segna...76!).
Ti
lamenti per la circolazione “schizo-frenica” o ti dà fastidio il braccino che
penzola fuori dal finestrino delle macchi-ne (braccini ‘nturciunati,
languidamente cascanti, come ci
riescono?!), ma son fatti loro, basta farci l’occhio.
Sì, ci
sono tante altre cose che non van-no, ma questa è prosa terra terra, effimera.
Quel che conta e che resta è la “poesia”, la magia del rito, ogni anno ripetuto
ma sempre nuovo, della partenza e dell’arrivo: il ritrovarsi fra gli amici, le
strade e lo “scenario” di casa, l’incantarsi all’ incanto dei tramonti di
Sicilia, l’illanguidirsi al secco alito dello scirocco o il tonificarsi alla
sferzata del maestrale, il “toccar con mano” quello che intorno ti parla di
storia e di natura, di giovinezza e di sogni.
In
Sicilia non siamo stati sempre fermi, ci siamo mossi: siamo stati nella verde
Irlanda, bella e freddina per la
stagione e per il nostro caldo sangue siculo, ma le scorribande ovviamente sono
state circoscritte alla Sicilia.
Con gli
amici dell’ “Associazione per la tutela
delle tradizioni popolari del Trapanese”, sodalizio molto valido, abbiamo
veleggiato, occasione unica per noi, verso Ustica, l’isola “usta”, un paradiso
naturale, assaporato avidamente.
C’è la
puntata a Menfi, da Piero Carbone (una montagna di cassatelle!), con
visita a Sambuca di Sicilia: un gioiellino!
Non
potevamo trascurare Siracusa per le rappresentazioni classiche, Le Rane e
Prometeo incatenato (oggetto, in altra pagina, delle malinconiche riflessioni
del Professor Pagano). Al Bellini di Catania ci siamo incontrati con Sigfrido:
fugate tutte le riserve di chi aveva pronosticato - per noi neofiti di Wagner-
un serata “pesante”: ...grandioso! A Palermo, due puntate: il balletto Onegin
al Massimo e la mostra di Renoir a Palazzo dei Normanni.
Il
consueto Luglio Musicale a Trapani, senza infamia e senza lode, ci dà lo spunto
per il consueto calcolo del numero spropositato di “turisti portoghesi” accolti
al teatro di Villa Margherita. Al teatro di Segesta ci siamo gustate ben
quattro commedie di Plauto.
Dal Teatro di Segesta il passo al “Parco
mistico” è breve, letteralmente ad un tiro di schioppo. Trovandoci sul posto,
coerenti con la posizione espressa sull’ultimo numero di Lumie di Sicilia (“chi
nnicchi nnacchi?!”), ci siamo dati da fare per raccogliere firme di amici e
parenti e abbiamo giovanilmente
partecipato alla “marcia del No” al vagheggiato Parco (denominato “mistico”
-preciseranno poi in un empito di
resipiscenza- “per un puro fattore terminologico” ... vattelapèsca cosa
mai vorrà dire?!). Ogni traccia di dubbio, se mai ce ne fossero stati, è stata
fugata dalla tarda dichiarazione conclusiva
dell’assessore regionale ai Beni Culturali: “Segesta non ha bisogno di un
turismo religioso. Con Cristaldi (il sindaco di Calatafimi, proponente =
n.d.r.), ne abbiamo parlato
e non ha
più presentato il progetto. Si era innamorato di questa idea...”
Ah l’ammore che fa fa’!
Anche in
città si vaneggia di “asse religioso”, cioè il progetto -poi rientrato-
(ma l’idea era stata lanciata, è questo
che lascia interdetti!) di sbarrare
l’accesso ad una strada principale del centro storico con una statua della
Madonna! ma che succede? è un’epidemia!
sarà effetto del debordante,
per molti versi paganeggian-te, “padrepiismo” (absit etc.)?, mah...!
Anche in
questa estate capricciosa non mancano le riunioni conviviali, ma questa sera
l’invito è speciale: si va in campa-gna,
dal Professore, ad assistere alla preparazione, e ovviamente alla
degustazione... ad libitum, della ricotta!
E qui,
fra cotanto senno, mangia che ti mangia, ci sovviene il brano dell’Odissea,
nella versione in siciliano di Rosa Gaz-zara Siciliano (un nome, un
programma!), dedicato a Polifemo: “Poi subbitu metà d’u jancu latti / cu
ogni cura iddu fici quagghiari / e ricugghiutulu cu summa arti, / ‘nta
cannistreddi ‘ntrizzati ‘u puggiau / pi faricci sculari bonu ‘u seru.
Questa sera, il ruolo di Polifemo è sostenuto da un moderno “curatulu”, che
ripete ieratico i passaggi di un rito
ancestrale, attorno al quale, noi ...profani, facciamo circolo curiosi e...
interessati.
Poi,
satolli e ...abbuturrati, la conversazione, articolata ed animata, com’è
come non è, scivola sulla storia (e, soprattutto, sulle “storie).
Qualcuno
accenna al tentativo di dissacrazione (lo chiamano “revisionismo storico!)
della figura di Garibaldi... altolà, se ci togliete l’Eroe dei Due Mondi, cosa
ci lasciate? Bossi e compagni?!
...l’Arabbi
rispettu e’ Normanni eranu nuddu... -Ma Birnardu, chi dici? mancu tu mi
pari! ma comu, si purtaru l’astronomia, l’agricoltura, l’idraulica, e ‘a
matematica unni la metti?
Da
Gheddafi, “u scimmiuni”, e la legge islamica, dai “barbari”, che qui si sono
succeduti, agli Inglesi il passo è breve(?)... ’nfatti ’ncampagna pi
offenniri a unu si rici: cu è stu
‘ngrisi?!
Il Professore come sempre mi accoglie sì col solito Dux
clarus, unus e nostris, ma questa sera non è in forma; lo
sosti-tuisce il fratello, medico, il quale (mentre Bernardo butta là: “Quantu
ci va ‘na bona vigna ‘un ci va ‘na bona vinnigna!”) coglie al balzo la
palla per intrattenerci piacevolmente e dettagliatamente sulla nascita del
“Marsala” (quello buono, però, non quello snaturato dall’ottusa specula-zione),
nato -per caso- ad opera proprio degli Inglesi che, per evitare ‘u tramazzu
durante il lungo trasporto per l’Inghilterra, aggiunsero alcool al vino della
campagna marsalese invecchiato in botti di rovere.
Apprezzato
professionista, produttore ed esperto di agricoltura, il Dottore è an-che
inesauribile “memoria storica” di per-sonaggi e fatti del territorio vitese
(vitaloru?), attorno a cui tesse una fitta
ragnatela di aneddoti e di nomi... spalleggiato da Bernardo che, pure
lui, in materia non scherza. Cerca d’inserirsi nel loro ping pong un enologo
che fa parte della compagnia ma, giovane com’è, fa un po’ di confusione nella
ridda dei Totò, Pippinu, Vitu, Iacu, Ciccinu..., non può certo tener testa a
quei due assi della tessitura: ... ci pensa Bernardo a metterlo subito in riga.
E
si annoda la trama del “ti ricordi di... e di quannu... e di Cicciu, ‘u frati
di Rosa ch’era maritata cu Peppi, cucinu di ‘Ntoni...”, mentre la residua
ricotta -un mare!- illanguidisce al fresco della sera settembrina.
E
se azzardi segni di fastidio per i pungenti raid delle zanzare (qui chiamate
“moscerini”)... chi ci voi fari, ci piaci ‘u sangu ruci di viautri
continentali!
C’è
l’arciprete Perricone ( la sua proprietà si chiamava “Nfernu”: un nome un
programma!) che, malvisto da Marco, un malfattore, novello Cesare Borgia
(l’arciprete) lo convoca per un brindisi di pace... ma, all’ assaggio dal
secondo carratuni della sua cantina, al poveraccio (si fa per dire) ci
arrivau ‘na chiummatuna chi lu lassau stecchito... da cui il detto “e
chi è ‘u vinu di Marcu”, per dire che uno resta fulminato.
Bernardo
annota: puru ‘u generali è cosa nostra (alludendo soltanto, per carità,
alla mia origine salemitana per parte di padre), mentre il Dottore, che si
trova davanti un miniregistratore incaricato di raccogliere i passaggi salienti
della serata, bontà sua mi gratifica di una qualità che non sospettavo di avere
(“acuto osservatore”)...ho letto la sintesi dello scorso anno, pregevole,
apprezza-bile, ...di tutti sti cosi, raccoglie, poi scrive...
Bernardo
ricorda il solito babboccione della compagnia che al Circolo (siamo sempre a
Vita) si vede recapitare dagli amici un telegramma del figlio lontano: ...picciotti,
a cu pigghiati pi fissa, iddu ‘a calligrafia di me’ figghiu è chista?
Incalza
il Dottore: Mastru Nardu, un seguace di Bacco, s’attacca alla manichetta della
botte e, paonazzo e con gli occhi fuori dalle orbite, tira quasi fino a
scoppiare. Non potevi chiudere il
rubinetrubinetto?...-Sììì! e accussì facia curriri ‘u vinu ‘nterra!
Certu,
ora Vita è cambiata... ne conveniamo pure noi che in quel paese
siamo stati solo una volta: non c’è dubbio, la ...vita è cambiata. Dove puoi
trovare un personaggio come donn’Andria, ‘u sceccu d’oru, che, dovendo
spartire con i parenti l’oro di una grossa eredità, jinchia ‘u munneddu e ci
passava ‘a rasula, parti tutte uguali, ma alla fine di oro se ne ritrova
più degli altri... come aveva fatto? al fondo del munneddu aveva spalmato del
sapone, a cui restavano attaccate delle monete, il surplus della sua parte:
sem-plice, no?
E, una ciliegia tira l’altra, appartiene allo stesso personaggio, ricco
quanto avaro, la prima macchina vista in città, una Minerva, finita poi
nelle mani di un ufficiale del Distretto, involatosi verso altri lidi dopo aver
chiesto soltanto di fare...un giro di prova (a Donn’Andrea della macchina
rimase solo un cuscino, con cui Bernardo da bambino giocava con i cugini). Il
suo “pieno di benzina” è di un litro: forte della conoscenza della chimica (H2O), pretende che la
macchina possa andare ad acqua, contenendo questa un combustibile come
l’idrogeno, e si meraviglia perchè il motore si blocca.
E,
visto che è la serata dedicata alla ricotta, non poteva mancare la storia di
quel tale, spaccone, che non riuscendo a mangiare le due fasceddi di
ricotta oggetto di una di quelle scommesse “titaniche” di una volta, cerca di
barare riponendo il surplus negli stivali che calzava... il trucco si scopre
quando, nella fretta di tagliare la corda, gli stivali schizzano una lunga scia
di ricotta.
A
proposito di mangiare, si rievoca la diatriba sulla cuccuzza longa: fa
beni? no, fa “dibbulizza”!; comunque c’è una prova che taglia la
testa... alla cucuzza: mettila addritta e lassala: ‘u viri? cari! si ‘un
sapi stari additta idda, com’è chi po’ susteniri un cristianu?!
Ma
ci sono gli “amatori”. Un tale ne aveva mangiato tante da procurarsi un blocco
intestinale; intervento chirurgico d’urgenza: era abbuttatu di simenza, con
l’aspiratore non si finiva mai di tirare fuori semi di zucca!
La
serata, un’altra di quelle memorabili, volge al termine. Giunta l’ora di
andare, la battuta finale è sempre quella: Emuninni a curcàri, chi...
l’ospiti si n’annu a jiri!
Sì,
gli ospiti ringraziano, salutano e se ne vanno, appagati e un po’
malinconici...
Nni
viremu!
Mario Gallo
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