domenica 9 dicembre 2012

la giornata delle memorie antiche: i Misteri di Trapani

       http://www.trapaninostra.it/Video/Trapani_Piero_Lazzari_Speciale_Misteri_2014.mp4





 “La notte del Venerdì Santo per le vie della città sfilano in solenne processione, a cura delle maestranze, i famosi Misteri, gruppi lignei del sec.XVII, con personaggi di grandezza quasi naturale, che rappre­sentano gli episodi della Passione di Gesù. Venti sono i gruppi, e precisamente....La grandiosa processione costituisce uno spettacolo singolare d’arte, di bellezza e di fede. I gruppi si custodiscono nella Chiesa del Purgatorio”

Uno spettacolo singolare di arte, di bellezza e di fede:è la defini­zione delle guide turistiche.
L'arresto
Per il turista basta, c’è tutto quello che vuol sapere e può interessare la sua curiosità, soddisfatta poi dallo scattare dei flash, che fissano immagini “singolari”, da. mescolare a tante altre raccolte alla rinfusa in uno scatolone dimenticato in soffitta oppure sistemate in rigoroso ordine cronologico nell’album dedicato alle vacanze, da mo­strare agli amici per testimoniare la multiforme esperienza di viag­giatore che si è spinto fin verso quella singolare lontana terra di Sicilia.
Per noi, è ben diverso.
Ci sono sì l’arte, la bellezza,la fede, ma ci sono, direi soprattutto, il soffio della vita, il calore dei sentimenti, gli anelli di una lunga catena di generazioni e generazioni, che si riconoscono nei padri e si rinnovano nei figli, tutto ciò che il turista può intuire ed anche apprezzare, ma non vivere.
Parlando dei Misteri, in ogni trapanese, grande o piccino, ateo o credente, residente o emigrato, puoi cogliere un luccichio umido degli occhi, la scintilla di un fuoco mai spento, covato dentro sotto la cenere dell’apatia e del distacco esteriori, la fiaccola accesa dal nonno del nonno del nonno, secoli fa, là sui bastioni delle mura di tramontana, sulle Torri della Colombaia e di Ligny, sulle cupole delle chiese settecentesche, sugli scogli e sulle barche veleggianti sul mare, un lume che si affaccia ad ogni finestra e ad ogni balcone amorevolmente portato da un vecchio, da una madre, da un bambino, un. falò scoppiettante alimen­tato da mille mani in ogni strada, in ogni vicolo, nei meandri nei quali ogni anno si addentrano e si attardano i Misteri, i Misteri della Pas­sione di Gesù, i misteri della vita di una città,di una comunità che in essi ritrova le sue sparse radici.
Sono nato con essi: mia madre mi ricorda spesso che quando ho aperto gli occhi là, in una casa dell’estrema punta della città, era il primo mattino e “si ritiravano” i Misteri. Non so come i bambini di oggi vivano i mesi, le settimane, i giorni, le ore che ne precedono “l’uscita”: io ne centellino ancora la feb­brile attesa, l’inesorabile lentezza dello scorrere del tempo che ci avvicinava a quel giorno, un senso di sublimazione, un sentirsi più leggeri in un’atmosfera al limite del surreale.
la sollevazione della croce
La Domenica delle Palme, la Madonna dei Massari, la Madonna della Confusione, i Sepolcri: il prologo al grande giorno, il Venerdì dei Misteri. La vita della città si ferma, son tutti là, per le strade, alle finestre, ai balconi, grandi e piccoli, i volti dei pescatori bruciati dal mare, l’espressione estasiata dei bambini, la gioiosa eccitazione delle ragazze sboccianti dalle loro sgargianti vesti primaverili, le bancarelle di “caccavetta e simenza” prese d’assalto, il pigiarsi e lo sciamare della folla, un affrettarsi e correre da una strada all’altra, dopo averli visti sfilare una prima volta, per precederli nel loro percorso e unirsi ancora a loro, questi personaggi (”lignei”, li definisce la guida!), che trovano il loro autore nella folla, e si animano, si muovono,vivono, parlano alla folla di uomini, di padri, di madri, di marinai, di contadini, di professionisti, di bottegai, di studenti, di artigiani, si mescolano ad essa e con ciascuno riprendono il discorso interrotto l’anno prima,un intrecciarsi fitto di tante voci, un unico indistinto brusio sovrastato dalle marce funebri che scandiscono il loro lento, grave, maestoso, inconfondibile incedere,”l’annacata” trasmessa da forzuti massari vieppiù stanchi e bisognosi di abbon­danti ristoratrici libagioni, consumate ad ogni taverna incontrata lungo il percorso.
Un colloquio che si fa più intimo, più confidente al primo accendersi delle torce e dei fanali, accecanti nel barbaglio degli argenti, che permettono di scrutarli più da vicino, di scoprirne le stimmate della sofferenza, il ghigno della crudeltà, la trafittura del dolore. Gli incappucciati, loro, restano impenetrabili nella loro maschera forata da due finestrine saettanti bagliori sinistri, rabbrividenti. Cosa si dicono i protagonisti di questa manifestazione sacra e profana insieme, questa rappresentazione corale di decine di migliaia di persone, tutti autori primattori e comparse ad. un tempo,vissuta sul grandioso palcoscenico di un’intera città, con il fondale della sacra vetta della paganità, le quinte delle sue strade antiche, il proscenio del suo mare tempestoso?
Si narrano le vicende dei tempi antichi e quelle di oggi, il lento scorrere dei decenni e dei secoli, volti sempre nuovi, diversi ma sempre uguali, le stesse ansie, gli stessi tormenti, le stesse speranze, il mistero di un destino incombente cui nessuno può sottrarsi.Tutti hanno la loro parte da rappresentare: il Cristo flagellato e martoriato, la Madre dilaniata dal dolore, i Giudei, Ponzio Pilato, Erode, gli Apostoli; e la folla, questo insieme di io alberganti in una fragile armatura infagottata nell’abito delta festa.
La gente prega, si diverte, va a casa, torna in strada, i locali si riempiono (chissà se, come ai tempi dei miei anni verdi, si usa ancora rintanarsi nelle bettole per il tradizionale pesce salato innaffiato da turbolento vino, premessa sicura per inevitabili corse liberatorie verso il vicino mare!?). La processione si snoda, lenta e solenne, nella consueta scenografia: “loro” esplorano la città, le vecchie case fatiscenti, le arterie logore e sclerotiche di quartieri un tempo pulsanti di vita, vita genuina, di stenti di fatiche sì, ma anche di distaccata serenità, la saggezza antica, conseguita nella dignità del lavoro ravvivata dalle parentesi gioiose delle piccole cose ritrovate nelle angustie della vita quoti­diana intensamente sofferta e vissuta da pescatori, carpentieri, orafi, muratori, corallai , falegnami, maniscalchi,fabbri, scalpellini, panettieri,  bottegai, salinai, barbieri, ciabattini, tutta la gente umile e fiera che ha fatto la storia di questa città, una storia di operosità, di dignità, di concretezza.
La spogliazione
Vengono fuori ogni anno, da secoli, i cittadini di questa città, da Via San Pietro,Via Biscottai, Via Mercè, Via Cuba,Via Crociferi, Via Giudecca, dai Cappuccini, dai vicoli, dalle case del centro, dalla periferia, dalle campagne, dagli altri paesi vicini e lontani, in questa giornata delle memorie antiche affidate ai volti bronzei delle vittime e dei perse­cutori dei gruppi lignei, che ciascuna corporazione ha voluto e realizzato per significare la comunanza del lavoro e delle speranze, l’idolo, il totem attorno al quale rinnovare ogni anno il patto di fratellanza stipulato nel sudore, nell’ansito della dura fatica, nella fede comune che sgorga dall’animo, calda, umana, non elaborata e sofisticata dalla saccenza di chi pretende di monopolizzare l’umano e il divino.
E con loro appaiono i fantasmi buoni del passato, a fraternizzare coi loro idoli di legno e con essi ravvivare nel cuore dei loro discendenti la fiamma del primo amore, l’orgoglio della corporazione, il soffio ani­matore delle virtù antiche.
Loro, le statue lignee rivestite con tela e colla, disdegnano i quartieri nuovi sorti nel caos, le pretenziose costruzioni dell’epoca recente ,i diabolici strumenti del “progresso” che corre incontro al nulla e si aggirano lenti e assorti, ancora portati a spalla, per le vecchie strade, quelle che recano ancora, e chissà per quanto, le ferite del martirio, lo stesso da loro subito il 6 aprile del 1943 nel vecchio rifugio di San Michele, guardano, scrutano nella loro statuaria immobilità che i massari dirigono verso questa o quella casa, in direzione di questo o quel vicoletto. E insieme, fantasmi buoni e statue, parlano alla folla, a noi, alcuni in­tenti e commossi, altri apparentemente distratti e distaccati, agli uomini e alle donne, al padre o al nonno che issa il piccolo sulle spalle perché possa meglio vedere, imprimersi nella mente e nel cuore immagini da tramandare domani ad altri bambini.
L'ascesa al Calvario (particolare)
La folla rumoreggia, corre, prega, s’inginocchia,un lagrima furtiva scorre sul fiero volto del pescatore, il nipotino di ieri al quale un altro vecchio pescatore ha alitato, là in riva al mare, il soffio dell’amore antico, il senso della storia della sua città, quella che non s’impara sui libri ma che puoi leggere, solo che lo voglia, nelle forme inerti, impennacchiate,vestite a festa,ornate di argento e contornate di fiori, che ieratiche sovrastano e abbracciano la folla, nel quieto tepore di una giornata di primavera o nel refolo della secca tramontana serpeggiante dal mare, il rito che si ripete e si rinnova per rinsaldare vincoli e sentimenti,un rito che si conclude al sorgere di un nuovo giorno con la promessa di un altro appuntamento,un altro incontro, nelle stesse strade, fra le stesse case, fra la stessa gente.
 Un appuntamento al quale,dopo quasi trent’anni,mi presento anch‘io, con tutti gli altri autore protagonista e comparsa. Un pellegrino che non deve ripassare la parte: quella,figlio d’arte,l’ha definitivamente imparata a memoria fin da quel mattino di tanti anni fa,proprio mentre loro “si ritiravano” dalla lunga passeggiata per la città, la passeg­giata delle memorie e dei sogni, quelli di ieri, quelli di domani. Forse una lagrimuccia ristoratrice scivolerà sul volto di quel bambino che il vecchio nonno issava sulle spalle per meglio vedere e ricordare,
(1982)

la coronazione di spine

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