domenica 30 dicembre 2012

u mericu piatusu


Il medico pietoso





Di te amore m'attrista,
mia terra, se oscuri profumi
perde la sera d'aranci,
 e d'oleandri, sereno
cammina con rose il torrente
 che quasi n'è tocca la foce.
Ma se torno a tue rive
e dolce voce al canto
 chiama da strada timorosa
 non so se infanzia o amore,
 ansia d'altri cieli mi volge,
 e mi nascondo nelle perdute cose.
 Salvatore Quasimodo
Modica 1901 - Napoli 1968
Premio Nobel 1959



La lettura dei giornali, o meglio di alcuni giornali, siciliani, soprattutto sotto l'imperversare (ed è, purtroppo, cronaca pressoché quotidiana) della procella criminale, offre spunti per alcune riflessioni.
Anzitutto colpisce la ritmica degli accenti spazianti dallo sdegnoso al patetico, dal tempestoso al curialesco, dal mo­nitorio al riflessivo, dal sociologico al profetico, forse per dare maggiore l'orza all'enfasi di considerazioni che normal­mente (partendo dallo stato di prostrazione di tutta una so­cietà vittima di non meglio identificati prevaricatori, pas­sando per dotti excursus storico-sociologico-politici, non trascurando la comprensione della corruzione e degli intri­ghi politico-affaristici determinati da uno stato di necessità), convergono quasi sempre su due assiomi di base:
1) i giornali del Nord «ci bagnano il pane», non distinguen­do il grano dal loglio (è vero, ma per bagnare il pane ci vuole il vino; e, quanto alla sarchiatura, deve forse provvedere il contadino della Bassa Padana?');
2) esiste si un «caso Sicilia», ma determinato dallo Stato che, non solo non ha messo un freno al malcostume e alla disonestà politica, ma e stato complice nel coprire e nel pro­teggere.
Non abbiamo difficoltà a concordare sulle colpe dello Sta­to, ma noi Siciliani che facciamo?
E qui torna acconcia la citazione di quel Sindaco di Trapani che, qualche anno fa, in occasione di un efferato crimine consumato sulle strade della sua città, se ne usciva coll'affermare che a Trapani la mafia non era mai esistita e che, se c'era qualche mafioso in zona, questi era di... Borgo An­nunziata (un rione cittadino, a meno di due chilometri dal palazzo municipale: n.d.r.).
Quindi malcostume e disonestà «politica» (ma quali mafia, ppi carità!). Ma chi sono questi disonesti? sono di... Borgo Annunziata? da chi é rappresentato lo Stato? chi sono gli al­tri complici dello Staio nel coprire e nel proteggere? Nell'Isola del sole è difficile trovare dei dissenzienti, in tutto o in parte, dalla linea della chiusura a riccio, dell'arrocca­mento esorcizzatore dettato dall'orgoglio ferito, anche se non manca qualche esempio di quell'altro indirizzo, quello «chirurgico», impietoso ma certamente non disamorato (u mericu piatusu fa 'a chiaia vilinusa), che oppone alla vacui­tà dell'orgoglio la forza, la dignità, la rispettabilità dell'umiltà (e cioè, recitano i dizionari: «coscienza della propria debolezza, insufficienza e simili, che inducono l'uo­mo a farsi piccolo volontariamente, reprimendo nel suo inti­mo ogni molo di alterigia»), che richiede si coraggio, ma che è l'unico sentiero praticabile per risalire la china.
Parlando di mafia, di corruzione, di rapporti mafia-politica e lordure simili, possiamo anche sbagliare, noi comuni mor­tali, diagnosi e terapia (guai ad avere in tasca, bell'e pronte spiegazioni e soluzioni uniche, irrevocabili!). Un fatto però è certo: bisogna parlarne, bisogna guardarsi attorno, scava­re nel marciume, bisogna interrogare sé stessi, esser chiari e onesti; non ci si può trincerare, di volta in volta secondo i casi, facendo il gioco delle «forze del male», dietro la pervi­cace ridicola negazione della realtà, o dietro il vittimismo, o dietro la cortina fumogena della retorica, o dietro il silenzio, le ritorsioni o le diversioni (la mafia è dappertutto), o die­tro l'attesa formale, senza fine, dell'accertamento, delle «prove», di verità che dentro di noi ben conosciamo o co­munque percepiamo e fiutiamo.
Non si può recriminare e invocare provvedimenti e interven­ti per arrestare il dilagare della disonestà e del malcostume («quali mafia, ppi carita!») e, contemporaneamente, di­squisire distinguere sottilizzare minimizzare ironizzare e li­quidare, con sufficienza e saccenza, come artificioso polve­rone e fumus protagonistico, ad esempio, qualsiasi azione della magistratura che vada in senso contrario al coprire e proteggere, prima rimproverati allo Stato; o, per contro, osannare a chi. capziosamente, pretenda di mettere il bava­glio alla stampa che osi uscire dalla comoda gesuitica gattopardesca rituale genericità del moralismo di facciata. Bisogna porsi ogni possibile interrogativo, compreso so­prattutto quello riguardante il ruolo e le responsabilità della collettività (la Sicilia «ufficiale») e dei singoli siciliani (si può essere «conniventi», oltre che per calcolo e per cointe­ressenza, per rassegnazione, per acquiescenza, per abulia, per egoismo, per quieto vivere), e indagare, analizzare, ra­gionare prima di emettere verdetti, assolutori o di condan­na, prefabbricati.
Abbiamo il diritto di pretendere che la stampa, le forze di opinione, i movimenti politici non «inquinati», le persone «per bene», senza abbandonarsi a piagnistei o levare alti lai, pongano a sé stessi le domande e. soprattutto, non eludano le risposte, per spiacevoli che possano essere.

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