Scavare nel passato per costruire il futuro
LE ORIGINI
SICILIANE DELL'ODISSEA: occasione da non perdere
Nerito, frondoso, mirabile; attorno molte isole
sono abitate, molto vicine l'una all'altra,
Dulichio, Same e la boscosa Zacinto...
(Odissea-lX, 21}
così Ulisse descrìve al re Alcinoo la sua
terra natia. Una descrizione che non trova però alcun
riscontro nell'Itaca delle Isole Ionie, ben diversamente disposte: una macroscopica
anomalia, sulla quale si é sempre preferito sorvolare, finché...
Finché, uno studioso inglese, Samuel Butler,
alla fine dell’Ottocento intuisce, e poi verifica sul posto, che la
descrizione omerica corrisponde invece esattamente nientemeno che al gruppo delle
Isole Egadi, di fronte alla costa occidentale siciliana!
Da qui, elaborando riferimenti e riscontri
geografici, topografici storici e letterari, egli perviene alla rivoluzionaria quanto ovvia
conclusione {The Authoress of the Odyssey = L'Autrice
dell'Odissea) che poiché la maggior parte dei
luoghi descritti nell'Odissea corrispondono a Trapani e dintorni, anche l'autore del poema non può che essere stato uno del posto
(addirittura, sulla base dì una sottile indagine di ordine psicologìco-letterario, una DONNA! la stessa Nautica?).
Trapani è Scheria cinta di mura, la terra dei Feaci:
...È la città da un alto
muro cerchiata, e due bei porti vanta
d'angusta foce, un quinci e l'altro quindi
su le cui rive tutte
in lunga fila
posati dal mare i naviganti legni.
Ma, nello stesso
tempo, descritta da angolazioni diverse e con particolari diversi per
differenti episodi del poema, é anche Itaca!
...e il sito apparve.
Giubilò Ulisse alla diletta vista
della sua
patria, e baciò l'alma terra.
Omero (Nausica, marinaio trapanese o chi altri mai?), non conoscendo direttamente lo
scenario ionico, ma avendo una personale familiarità con quello di Drèpanon, ne
usa gli aspetti paesaggistici e topografici per descrivere Itaca, così come poco prima aveva fatto per Scheria: oltre che un atto di omaggio alla
propria terra, é una necessità tecnica per conferire concretezza alla descrizione dei
luoghi, questo puntare i riflettori ora su questo ora
su quest'altro settore dell'unico meraviglioso fondale dipinto dalla natura. Senza pretendere di potere addentrarci nel
merito e nei particolari, o di esaurire in una breve nota, una materia così
complessa quanto affascinante, limitandoci ad accennare alla sorte subita nel
tempo dalla teoria di Butler possiamo dire che fu allora osteggiata dalla cultura
ufficiale, compresa (salvo poche isolate voci, lasciate cadere nel vuoto)
quella locale (!).
c'ero anch'io! |
lugIio 1990,Trapani Park Astoria Hotel
1° Convegno Internazionale
THE SICILIAN ORIGIN OF THE ODYSSEY
Ripresa e ampliata poi - nel 1957 - da un neozelandese, L.G. Pocock (The Sicilian orìgin of the Odyssey), sviluppata e puntualizzata nello stesso periodo da uno studioso
trapanese, Vincenzo Barratimi (L'Odissea
rivelata), è stata in questi ultimi anni rilanciata da
Nat Scammacca (un poeta che, novello Odisseo, ricercando inquieto le sue
radici, è alfine approdato
in Itaca-Sicilia) con martellante impegno sulle colonne del settimanale Trapani Nuova, premessa al I Convegno
Internazionale THE SICILIAN ORIGIN OF THE ODYSSEY", tenuto a Trapani lo scorso luglio (1990), con la partecipazione di studiosi e poeti di varie
parti d'Europa e degli Stati Uniti, fra cui il figlio dello stesso Pocock. THE SICILIAN ORIGIN OF THE ODYSSEY
Come ho avuto modo di sostenere in un mio estemporaneo
intervento da non addetto ai lavori (portatore soltanto delle sensazioni e riflessioni di chi, vedendo ora
rappresentate sul palcoscenico di casa vicende di
così incomparabile suggestione, si chiede: - e ora?! -), il nuovo capitolo che si aggiunge al mito ed alla storia dì Sicilia non può esaurire il suo significato e la sua portata nell'ambito dell'asettica astratta sfera letteraria o, peggio, costituire grano aggiunto al rosario delle glorìe patrie, tutte messe là in bella mostra, da snocciolare nei consunto rito riparatore dell'orgoglio offeso dalle forze del male.
così incomparabile suggestione, si chiede: - e ora?! -), il nuovo capitolo che si aggiunge al mito ed alla storia dì Sicilia non può esaurire il suo significato e la sua portata nell'ambito dell'asettica astratta sfera letteraria o, peggio, costituire grano aggiunto al rosario delle glorìe patrie, tutte messe là in bella mostra, da snocciolare nei consunto rito riparatore dell'orgoglio offeso dalle forze del male.
Possiamo anche dividerci e discettare sul
valore storico o fantasioso da attribuire alla tesi dì un'Odissea siciliana, possiamo convenire
sulla necessità di approfondire gli studi, di
confrontare tesi e controtesi. Ma questo
mettere a nudo radici e localizzazioni sepolte nelle stratificazioni dei secoli
è, deve essere, comunque un'occasione da non perdere, una leva, un appiglio cui
aggrapparci per non farci risucchiare nei tumultuosi gorghi dell'abulia, della
cecità e della rassegnazione dì oggi.
Ripercorrendo
quelli che (sia pure per un'ipotesi si da verificare, ma certamente non
visionaria) potrebbero essere i luoghi dell'Odissea, le nostre strade e le
nostre contrade, potremo ora, più a lungo, qua e là intrattenerci commossi coi nostri progenitori, i più lontani e i più vicini, ritessendo con loto
la nostra identità, con loro ricomponendo la nostra dignità, riacquistando con
loro la nostra fierezza, con loro disegnando il nostro futuro.
E’ un progetto di
«strumentalizzazione» il nostro, non abbiamo motivo dì negarlo. Da collegare
però, sia chiaro, a quel concetto di sicilianità (ma il discorso può benissimo riferirsi alla fiorentinità, alla romanità, come a qualsiasi altro distintivo
etnico-storico-culturale-sentimentale!) che non
si chiude a riccio nel passato, non se
ne fa ciecamente pateticamente ottusamente scudo (o, peggio, paravento) per
esorcizzare il decadimento, il degrado o le brutture del presente, ma che
scava nello schedario del tempo (mito o storia che sia) per distillarne il tonico
che ridia vigore e slancio nella costruzione dell'edificio del futuro, del
futuro che comincia oggi.
"E a sera, la dea, che gli occhi in azzurrino
tinge, delle ree fatiche ci torrà l'importuno senso e un sonno ci verserà dolce
negli occhi, le stanche palpebre a noi velando".
Potersi risvegliare, appena fuori di Scheria, dell'argentino fiume alla pura corrente ed ai
lavacri di viva ridondanti acqua perenne, da cui macchia non è che non si
terga!
Un sogno, naturalmente: qui manca l'acqua
quotidiana, figuriamoci quella perenne!»
È da precisare che il finale era soltanto una
battuta d'alleggerimento.
Come questa ...rielaborazione maccheronica presentata per l'occasione
L’ODISSEA RIMINATA...---------------
Musa, fimmina cilestiali e caddusa,
d'addauru e gersominu addurusa!
Cunfusu nta ‘sta facenna astrusa,
a tia ricurru, divinità mmiraculusa:
deh! canta pi mia, c’a vuci l’aiu nanfarusa.
Ccà si parla di Odissea,
chi, si ci attacchi rea, ti veni la psicosi e la cefalea...
Nat ‘nmeci ci nata e sinni prea,
voli n’Odissea nova, riminata,
rivisitata:
rici.. .picchi? era malata?
sì, ‘un c’è dubbiu, ch’era ‘nquinata
pi curpa di l’establishmenti
chi, o’ solitu, un capisci nenti.
Deci anni Ulissi,
deci anni dicuti e dissi,
st’omu di multiformi ‘ngegnu
ci metti pi turnari a lu so regnu?!
chi facemu, babbiamu?!
è bberu ch’etempi ‘un c’era l’aeroplanu
e Itaca era tantu luntanu;
ma a mia, o’ zu bustu,
Omeru ‘u fattu ‘un mu canta giustu!
Omeru ‘u fattu ‘un mu canta giustu!
Quannu si parteru ri Troia,
datosi chi la ciurma s’annoia,
ca scusa ru ventu cuntrariu
a Ismàro iddi sbarcaru
e ‘ntantu i fimmini Ciconi si puliziaru.
E mentri iddu s’annacava,
u tempu passava:
Pinelopi, mischina, l’aspittava.
Lu fattu poi di Pulifemu,
di li Ciclopi pasturi supremu,
un pezzu di paganu tantu,
chi puru a Giovi ci mittia scantu,
chi vi nni pari?
Arriva stu gran figghiu di Laerti
ci arrusti l’occhiu, e puru s’addiverti!
No mentri a cira squagghiava:
Pinelopi, gnoccula, l’aspittava.
Itaca è ‘nmanu a cani e Proci,
e ca scusa chi idda lu metti ‘ncroci
di Circe salse le belle maritali piume,
voli riri -in lingua nostrana-
chi sutta ‘u cutruni iddu ci acchiana,
e tantu si stenni e si stinnicchia
chi ci passa un annu e tanticchia.
No’ mentri a clessidra camina:
Pinelopi tessi e
nenti cummina.
Pi li Sireni, iddu rici, si fici attaccari...
tantu tiatrinu p’un sentili cantari...
ma ‘ntantu, all’Isola di Ogigia,
mentri chianci, ‘a lassa e s’a pigghia,
con Calipso in cave grotte
chi ci facia, ah...? chi ci facia,
di jornu e di notte?!
E mentre il satiro pappagghiunava
Pinelopi cu li Proci babbiava.
Puru cu Nausica, un giglio, ‘ulia scattiani,
e sparti idda ci avia ratu a bestiri e manciari!
ma cu chissa, no, ‘un ci nesci nenti:
trapanisa era, illibata naturalmenti!
Alcinoo ci rissi: senti, puru si ssi re,
o ta’ mariti, opuru sciò, sciò,
Nettunu ravanti cu Eolo pi darrè!
Cu nna nnuzzenti iddu truzzava,
tempu pirdia e Pinelopi si rispizziava.
E quannu, alla fini, vecchiu, s’ammusciau
e a Pinelopi senza ciatu s’apprisintau,
chista, giustamenti, vivu su manciau:
- Ma comu? Vintanni!
vintanni senza mai ‘na littra,
un fax, ‘ni meil, ‘na telefonata!
r’unni veni, unn’astatu?
disgraziatu, ribbusciatu!
talìati no’ specchiu, mascariatu!:
tuttu sciratu
sculatu comu ferru filatu!
u sapi Zeus li mali fimmini chi t’ai passatu!
E raggiuni avia ‘sta santa cristiana
e aspittannu e tissennu s’avia fattu anziana:
un magabbunnu, fimminaru,senza funnu,
u Grecian lover figghiu
d’Anticlea,
autru chi eroi, autru chi stori,
autru chi odissea!
Rici chi stu bonentu, comu si chiama?, Omeru,
era orvu, ma va sapiti s’è bberu!
masculu era, fimmina, marinaru?
na’ tanti seculi quantu n’accucchiaru!
mah! Batler a pesca!
Però, Batler e ribatler,
a pocu a Pocock 1’ aricchi attisi
pi stu fattu chi dicinu sti ‘ngrisi,
genti du nordu, prufissura, precisi;
e si t’apprichi ancora un Pocock, l’abbisi:
ciclopi, elimi, fenici, greci, dei, omini e paisi,
ci pensi ‘u ‘ncuttumu di li cucini marsalisi?!
Bettu meu, u patri, u senti? su tutti trapanisi!
Trapani (senza babbiu: è cosa seria!)
e’ tempi antichi si chiamava Schèria.
Si t’affacci alla Torre di Ligny
la viri ravanti, proprio lì,
la navi dei Feaci che Poseidoni
senza nudda cumpassioni
ncazzato nero pietrificò
senza riricci né bbi ne bbò;
supra stu scogghiu libertà giuraru
i capi di li Vespi Siciliani a cufularu!
Si cerchi di Alcinoo la reggia divina
unni si mancia, si vivi e si fannu fistina,
e dieci ancelle ti fanno il bagnetto di matina,
un t’alluntanari. . .fatti ‘na passiata a’ Marina.
Ccà, o’ Runcigghiu e a’ Culummara
piscatura e marinara
avianu due porti, cioè du potti,
unu pu jornu, l’autru pa
notti.
Foraporta, a Borgo Annunziata,
a ddi tempi diversamenti numinata,
c’è l’abbiviratura nel libro 17 ammintuata:
una volta un frùsciu tantu rossu,
ora asciutta comu n’ossu.
Fèrmati ddocu e sul cammino rifletti:
o’ Passu ‘Latri ti lassanu ‘i scarpi
ma ci appizzi ‘i cosetti:
di Ermes difatti c’è la cattidrali
sbannutu diu di putiara e sinsali.
Tagghia r’accurzu, per il demos, ‘nmezzu ‘e senii,
ascuta a mia chi ti cummeni:
arrivi vicinu al manicomiu pruvinciali
dove, con olio di gomito (sapuni universali),
Nausica, cosi ri pazzi, principessa e puru lavannara,
stricava causi ‘tila, suttana e falara.
Semu a li faldi dell’ericina vetta
unni, pi l’amurusi banchetta,
vinianu pi mari, a peri e cu li carretta:
a Veneri si venerava e’ tempi antichi,
aspittannu l’arrivu du
Prufissuni Zichichi,
chiddu chi la scienza ci pasci a li nutrichi
appena la mammana ci aggiusta li biddichi;
‘ntantu, ‘a pirsiana chiusa e ‘a puntina ‘nmanu,
cull’unicu occhiu abbanidduzza,
la ciclopica muntisa scruta, viri e sfirruzza,
mentri na’ pignata ci scoci la cucuzza.
Scinnennu a mari, trovi la storia,
la storia senza A si scrissi ccà.
Scocci ri miluna, bacterium coli, vitra, cartazzi,
buatti di coca-cola?
chi ‘mportanza avi?
nenti v’impararu a’ scola?!
Chistu di Forco è il vecchio porto marino,
comu cualmenti lu Portu Reitro sotto il Neio boscoso
unni Odisseo, stancu mortu, attruvau riposo.
Si ti sposti a Trentaperi,
(ti la poi fari a peri)
arrivi a Pizzulongu...
ma è ‘nutili c’allongu:
di Pulifemu lu fattu già sapemu,
dunqui strincemu e cunchiuremu.
---------------
Il cuncetto vi dissi della questione omerica:
ormai. ‘u sannu puru 'nAmerica
che l’Odissea è la cronaca del peniplo siciliano:
partenza dal Lido San Giuliano,
arrivo al mulino di San Cusumano.
Caru prufissuni chi fai ancora difficurtà
e arricci u’ nasu con caparbietà,
toh! e tagghia ch’è russu,
l’urtima prova ti stricu mussu mussu.
Si pigghi la carta giografica
e ti sposti supra Itaca greca,
dimmi, unni sunnu, ti fazzu iò l’esami,
unni sunnu Dulichio, Zacinto e
Sami?
sceccu! un pipitìi!
un si viri chi sunnu autri panorami?!
chi mi ‘mpapocchi?! ma si ll’ai sutta l’occhi!
Isola Longa, Maretimu, Levanzu e Favignana,
la scorta d’onore alla nostra costa siciliana!
Chista, paesani mei (pensateci,voi!),
è terra nobili ri dii ed eroi,
di marinara, di piscatura, di genti travagghiatura!
arrinfriscamuni tutti la memoria,
ogni scogghiu ccà è ‘na paggina di storia!
A Tramuntana ci sunnu ancora li sacri mura,
chi allucchiri ficiru principi e ‘mperatura;
ora, figghi di Ermes e di ‘na tinta ruffiana,
mpicciu ci fannu a cuarchi putia paisana.
Ma alli Feaci, figghi di Drepano, mi rispiaci,
st’alliccapiatta ‘unni li fregano!
si Minerva ci metti i cirina,
li manu ci abbruciamo a ‘sta razza caina.
Oh, dea Minerva Pallade, dea sagaci,
chi fusti parrina di Totò Schillaci:
di ‘sta terra a forma di fauci
li Proci aiutaci a scacciari,
subitu, a cauci!
Bettu meu, figghiu, capito alfine avrai
la morali della storia chi ti spiegai,
per la quale qui, da giugno fino a maggio,
di furastieri n’aspittamu l’arrembaggio.
E a chisti spiegaci chi semu razza antica,
nobbili figghi di Ilio
chi ccà, nei secula seculorum, avemu domicilio;
però, m’arraccumannu,
‘un ci ammintuani, puru s’è storia,
chi ‘mprimisi ‘mprimisi Ilio si chiamava Troia!
Firenze, 15 ottobre 1990
Caro Franco, (Di Marco =
n.d.r.)
sorpreso confuso commosso e
grato, ricevo i tuoi rinnovati complimenti...corredati di foto (orribile! ma la
colpa non è certamente del fotografo!) e conditi addirittura con gustose rime
dialettali ad personaml
Avevo già archiviato fra i
ricordi più cari il convegno trapanese che, al di là dei suoi concreti e pur
apprezzabili risultati, mi aveva soprattutto offerto occasioni di memorabili
incontri in un’atmosfera di poesia e di simpatia. Il tuo messaggio, ora, oltre
a porre le basi per consolidare in amicizia quella che era una lontana (oltre quarant’anni!)
“buona” conoscenza inframmezzata da fuggevoli incontri, mi ripropone come tema
di riflessione l’effettiva possibilità di sviluppare e sfruttare occasioni
come questo convegno per finalità che vadano oltre l’asettica sfera meramente
storico-letteraria, per chiamare in causa cose piu attuali, sulle quali pare di
avvertire una sorta di chiusura a riccio, che certamente non aiuta ad
affrontare incisivamente (intervento chirurgico) la spinosa variegata
“questione siciliana”.
E
datosi chi la mittisti ‘nrima,
segnu
sicuru r’amicizia e stima,
tuttu
priatu.. caru Francu (voli viri Cicciu),
picchì,
nentirimenu a tia, ti piaciu
‘stu
‘nfrinzamentu, un mezzu pasticciu,
st‘Odissea un pocock ‘mpapockiata
(riminata
finu a falla quagghiata?,
ma
unn’avivi chiffari!
mi
tocca spremiri lu ciriveddu
(rinfurzatu
c’un panaru r’ova a bugghiuneddu)
p’arrispunniri
comu si devi a li to’ rimi alternati
facennuti
prisenti, chi tinni pari?
chi
a mia mi piacinu chiddi baciati!
Cunfinatu
‘nta sta terra di Tuscana,
pensu
spissu alla me’ isola luntana:
ci
pensu cu amuri e cu raggia,
picchì
trattati semu comu s’avissimu la scabbia.
Ora
però chi riminannu st’Odissea
veni fora
chi prima d’Enea
ccà puru
Ulissi NATava in apnea,
notti e
jornu mi turmenta st’irea:
buttana di
Giura, ripetu ogni mezzura,
possibili
c’amu a perdiri sta cunghintura
chi n’appara
la storia e la littiratura?!
Siccomu
chista è Itaca e Scheria,
pi ‘na vota
‘un si putissi fari ‘na cosa seria?
finu a prova cuntraria, ‘un semu froci;
picchi
suppurtari n’avemu l’infami Proci,
chi stu
paisi allordanu e mettinu ‘ncroci?!
Viautri chi
siti li megghiu trapanisi,
genti per
beni cu tantu ri cabbasisi,
ratici
‘ntesta a sti figghi ri buttana,
chi struriri
vonnu li sacri mura ri Scheria, a Tramuntana!
Caro Franco, questo passa il
convento...ma per tua buona sorte hai ben altre parrocchie in cui rifocillarti
Mario
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